Fame e sete ci sono negate, non conosciamo riso né lacrime, il nostro stato è di pigro appagamento, di monotona inappetenza… Ora, tu dimmi: Può bastarci, questo? Può dirsi, questo, felicità? Sapessi cosa non daremmo per una spina di passione, un amore, un odio, uno strazio, una malattia!
Gesualdo Bufalino, Favola del castello senza tempo, Bompiani, 2020, p.46
Un giovane giornalista, vicino alla scuola di educazione Alla persona, qualche giorno fa, mi diceva di sentirsi come un partigiano, come nella resistenza. Capisco, ed è così. Aggiungo che la resistenza prevede anche l’arte della resa, il momento di resistere lasciando andare, resistere tacendo, resistere mancando la sovraesposizione. Resistere, sì, riposando e recuperando le forze.
Seguo una psicologia di prevenzione militante e scelgo ogni intervento verbale o scritto prevedendone la ricaduta non solo personale, ma anche sociale e politica; voglio dire, di appartenenza comunitaria e creaturale, non certo partitica. In ogni situazione sgradevole, la psicologia formativa nella quale credo propone di rivolgere domande a se stesse/i per comprendere le diverse prospettive. E non dà per scontato che esistano esseri umani difettati e rotti. D’altronde, fossi io stessa o fosse l’altra persona bruttasporcacattiva, è proprio con me e con lei che esistiamo. E, allora, tanto vale chiederci come possiamo vederci e narrare di noi diversamente. Iniziando dalle parole di valutazione.
In questi tempi, evitare di capire in profondità anche con l’analisi psicologica, equivale a rimanere in una superficie patologica, imprigionati in un’immagine grottesca di sé che si autoduplica, che si fotocopia, senza fecondare e senza mettere al mondo. La semplicità, la leggerezza, l’autenticità prevedono un cammino complesso e faticoso, per nulla scontato e non acquisito naturalmente.
Durante il lavoro di consapevolezza, il limite posto all’ego non è limitante; al contrario, il metodo, la disciplina, l’orientamento a capire, incontro dopo incontro, liberano l’energia emotiva e cognitiva, affinano la potenza del sentimento, del pensiero e dell’azione. È la coscienza del limite, la coscienza di non sapere molte cose che ci spinge a conoscere e a modificare. Il ridimensionamento di sé e l’alleggerimento dell’ego creano forza e movimento. Ogni persona, isolata dal contesto e dalla coscienza della storia personale, diventa una merce e una proposta pubblicitaria.
I social media consentono di sbirciare le vite private, i gusti e i tic, in apparenza innocenti. Le esposizioni frequenti e, spesso, compulsive defraudano i legittimi territori d’ombra, vicini al nucleo esistenziale, vicini al carattere che ogni persona può riconoscere e custodire. Durante il lavoro di educazione Alla persona tocca capire e trasformare, in ogni sua variabile, il copione personale. Proteggendoci, nel tempo, possiamo educare e modificare l’immagine esteriore patinata, fotoshoppata ad uso dei social, modello di aspirazione dei poveretti che, sempre in affanno, inseguono visibilità, soldi e consensi. Spesso, rivendichiamo il diritto alla nostra opinione e alle nostre scelte; ma il diritto prevede il ragionamento e il pensiero critico. Abbiamo bisogno anche di gravitas.
Lo sguardo e la parola possono essere severi nella misura in cui sono prima pietosi, di pietas, comprendendo l’affetto per l’umanità e la devozione per la professione. Oltre che nel corpo e nella mente, il responsabile aziendale – in realtà, ogni persona – può ammalarsi nella visione ottusa ed escludente di sé, dell’alterità e del lavoro. Esistono mali culturali che possono tradursi in sofferenze e che dipendono da convinzioni del copione psicologico, da mentalità parassitate e manipolabili, anche se affollate di luci.
La prevenzione della malattia culturale, l’attenta supervisione della visione di sé, degli altri esseri viventi e del mondo ha come scopo il benessere e il tornaconto economico sulla durata stabile, sul lungo periodo. L’intervento formativo non è costruito sulla centralità dell’uomo che compete e che vince, ma sul senso della comunità. Sostituendo il vecchio assetto, propongo un sistema di pensiero critico radicato nello studio e nella relazione. Partendo da sé e da noi.
L’impegno principale, il nucleo di ogni lavoro è guidare a vedere le prospettive non ancora considerate, le vie credute chiuse, le opzioni oscurate dalla frustrazione, passando dall’ostinazione duale – o questo o quello – allo sguardo molteplice. Prima di ogni scelta e prima di convincerci di non avere alcuna scelta.
Nella mia vita, la libera professione ha finito per significare la ricerca e l’opera, in solitudine, talvolta luminosa, talvolta oscura. La psicologia applicata alla prevenzione e alla cura della cultura e, in particolare della cultura del lavoro, si pone necessariamente fuori dalle accademie, ai margini, indagando il limite fra il personale e il professionale, fra il pubblico e il privato. Allora, accogliamo le resistenze come i luoghi e gli spazi di riflessioni interiori, nel silenzio, nel vuoto, nell’abbandono che aprono all’accadere diverso.