cartellate

Ridere

La psicologia archetipica considera il discorso metaforico intorno alla mitologia, all’arte, alla religione, all’epica come un modello fondamentale dell’esistenza umana. Considera il mito come una narrazione simbolica di carattere sacrale che fornisce una spiegazione ai fatti storici. Nei percorsi formativi della scuola di educazione Alla persona, il mito diviene il linguaggio che facilita il percorso di coscienza.

“Chicchi di melograno al telefono” è il nome che Ina Macina dichiara per le nostre conversazioni online. Dopo aver letto https://www.liziadagostino.it/la-bambina-della-mamma/:

Ina: Quando sento Kore Persefone Demetra io accorro. Lizia, alla triade manca Baubò, la vecchia che fece ridere con scherzi osceni Demetra. Mitica la versione de “il sorriso di Demetra”. Il tuo scritto mi fa immaginare Demetra che dice agli dei: chi vi ha detto che potete prendere mia figlia? Chi vi ha detto che potete disporre del femminile a vostro piacimento?…  Sto riuscendo con la solita grande fatica a fare formazione a scuola… Stiamo ragionando anche sulla matrice patriarcale della cultura classica; matrice patriarcale suona come un ossimoro…

 Lizia: Certo Ina, la matrice patriarcale della cultura classica la ritrovo in un piccolo libro Einaudi, Futuro del “classico” di Salvatore Settis… Se rendessimo parzialmente pubbliche le nostre conversazioni? Baubò manca perché manca a me l’incontro con lei.

 Ina: Non sapevo che fossero 9 i giorni della ricerca di Demetra. Numero simbolico, come la gravidanza. Rimessa al mondo.

Dunque, in uno dei nostri dialoghi, Ina nomina Baubò. Omero, maschio forse anche inesistente, ma sempre moralista e sprezzante, chiama Baubò con un nome diverso, Iambe, un nome che rimanda a un modo di camminare claudicante e, inoltre, traveste il gesto del sollevare la gonna, ἀνάσυρμα, con più innocenti e poeticamente accettabili, παρασκώπτουσα, lazzi e beffe.

E torniamo al racconto del mito: nessuno riconosce Demetra, ἀγέλαστος, triste e vagante alla ricerca di sua figlia Persefone, rapita da Plutone, dio dell’Ade. La dea viene invitata nella casa di Metanira ed è qui che incontra Iambe, in greco Ιάμβη, la figlia del dio Pan e della ninfa Eco o forse, figlia proprio di Metanira e di Celeo. La dea passa dal sorriso amaro alla risata oscena, e accompagna, attraverso il sorriso e la risata, il ritorno alla vita. Demetra affonda e rinasce ed è segno che ha quella esistenza e che è quella esistenza.

Rileggo i versi 197-205 dell’Inno a Demetra:

«[Demetra] apportatrice di messi, dai magnifici doni,/ non volle sedersi sul trono risplendente,/ e ristette in silenzio, abbassando i begli occhi,/ finché l’operosa Iambe ebbe disposto per lei/ un solido sgabello, gettandovi sopra una candida pelle./ Là ella sedeva, e con le mani tendeva il velo sul volto;/ e per lungo tempo, tacita e piena di tristezza, stava immobile sul seggio,/ né ad alcuno rivolgeva parola o gesto,/ ma senza sorridere, e senza gustare cibi o bevande,/ sedeva, struggendosi per il rimpianto della figlia dalla vita sottile:/ finché con i suoi motteggi l’operosa Iambe,/ scherzando continuamente, indusse la dea veneranda/ a sorridere, a ridere e a rasserenare il suo cuore:/ Iambe che anche in seguito fu cara all’anima della dea.»

Baubò, dea dell’oscenità, spariglia le carte, esce dalle righe, eccede, scoprendosi le parti intime e facendone bella mostra alla sua ospite. Divertita e sollevata, Demetra, sorpresa, sorride divinamente! E accetta di buon grado di bere il sacro ciceone, una bevanda di acqua, farina d’orzo e menta, interrompendo il digiuno e instaurando così il rito eleusino. Baubò è la donna magica priva di testa, con gli occhi al posto dei capezzoli e la bocca al posto dei genitali; si muove dimenando i fianchi e mimando un rapporto sessuale; parla attraverso la sua vagina e racconta storie scurrili e divertenti.

Lo scrittore Matteo Nucci, a pagina 171 del testo Le lacrime degli eroi, chiarisce bene: Demetra sorride e ride, non muta il segno delle proprie lacrime. Ride di tutto, ride su tutto e si prepara a vincere la morte. Baubò può rappresentare una opzione, fra le espressioni molteplici e colorate del nucleo femminile, e si svela come unità corporea, spirituale e psichica. Il piangere non è sempre riconducibile a un dolore e il ridere non rimanda necessariamente a uno stato di piacere. Demetra sorride e si abbandona alla risata, colta dalla diversità grottesca e dalla gestualità ampia e libera.

L’osceno è rimasto un termine legato al sesso: gli atti osceni in luogo pubblico e il linguaggio osceno sono parole della morale, ma l’osceno non è necessariamente volgare. Dunque, nel momento in cui a Demetra sembra definitiva la perdita della figlia Persefone, Baubò si manifesta e la dea si riscopre donna non solo fornita di corporeità, che ha un corpo, Leib, ma donna immersa nella corporeità, che è Körper. Il riso è l’esperienza della perdita del controllo di sè e della resa nella situazione, dell’affermazione di libertà e dell’abbandono. Il corpo, attraverso il ridere osceno, prende in carico la risposta e ogni demetra può sperimentarsi come corporeità nel corpo.

Vivo con la mia coscienza e la corporeità è il suo veicolo; agisco nella coscienza e Baubò apre e si rivela come l’incontro obbligato capace di dīvertĕre, di volgermi in un’altra direzione e di trasformare ogni perdita buia in un’apertura risolutiva. Utilizzo il corpo per camminare, per cercare e, manifestandosi Baubò, preziosa risorsa, attivo le modalità di comprensione ritenute inferiori. In un misto di risate e di libido, pratico la rottura di ogni stereotipo, allontano la malinconia e la tristezza, ritrovando il coraggio e ricominciando a cercare e a farmi incontrare. Chi è la mia Baubò?

Riferimenti bibliografici

  • Càssola, a cura di, Inni Omerici, Mondadori, Milano 1975
  • Matteo Nucci, Le lacrime degli eroi, Enaudi, 2013
  • Helmuth Plessner, Il riso e il pianto, Bompiani, 2000
  • Kurt Vonnegut, Madre notte, Bompiani, 2021
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