Donne Bitonto Ba

Il fuori campo nelle storie delle donne

 

Notre héritage n’est précédé d’aucun testament

La nostra eredità non è preceduta da alcun testamento

René Char, Feuillets d’Hypnos, 1946

Eredità senza testamento, dunque, leggo nella raccolta Feuillets d’Hypnos, dall’esperienza del poeta durante la Resistenza francese. In questa frase ritrovo la convinzione e lo spirito di ricerca, decidendo di partecipare alla pubblicazione di Piccole storie di grandi donne tra Bari e Bitonto, edito da SECOP.

Lo studio del passato è diverso dalla memoria; esso è in funzione della conoscenza e della comprensione della realtà, e non in funzione della creazione di un sistema di valori. Le figure genitoriali, i maestri e le maestre, non sono modelli da riproporre, esempi di virtù da imitare. Sono un pezzo della nostra storia che, per andare avanti in autonomia, è bene allontanare, criticare, tradire. Non possono essere assunti, da ogni persona, tout court come fondamento del sistema genitoriale di valori. L’autonomia del pensiero femminile non è solo emancipazione e non è solo imitazionismo.

È importante conoscere nelle ombre e nelle luci l’eredità ricevuta e decidere cosa accogliere e/o modificare per procedere nel personale processo di individuazione. Si chiama self-reparenting ed è una teoria, una metodologia e una tecnica psicologica che evita la demagogia modaiola, a proposito di ricordi e di storie di donne. Ritengo fondamentale vedere le relazioni nella loro complessità includendo le contraddizioni, accompagnando la memoria che sceglie e censura affiancata dalla storia. Possiamo trasformare le mentalità, diversificare le prospettive, dubitare dei dogmi, rileggendo e ricostruendo lo stato dell’Io Genitore. Esso è costituito dai pensieri, dai sentimenti e dai comportamenti ripresi da precise figure che nella storia di ogni persona hanno svolto un ruolo parentale, per come sono state percepite e non quali oggettivamente erano.

Quali sono i fatti storici e i vissuti che ognuna/o considera parte della struttura culturale individuale? Non sceglierà tutto, come patrimonio per la costruzione della identità psicologica. Tutto fa parte della storia, ma non sceglierà tutto come patrimonio caratterizzante l’identità. Se cambia l’idea di mondo e di umanità è inevitabile che cambino anche i valori e la dimensione simbolica. La differenza è nel processo di conoscenza e di consapevolezza che ogni persona compie. Siamo differenti anche nelle forme in cui, raccontando, ci raccontiamo.

Per la scuola di educazione Alla persona® preoccuparsi del prossimo e delle storie delle donne, vuol dire chiedersi se i meccanismi che portano alle scelte personali siano compatibili con i requisiti di comunità, di interdipendenza, di sostenibilità, più o meno distanti dalla evoluzione di una società giusta. La psicologia applicata alla consapevolezza non può mantenersi nella sfera strettamente soggettiva di ogni persona senza incidere sul contesto. Le problematiche non sono mai solo individuali ma strutturali, sociali, di sistema. Appena pubblicato da Einaudi, Lo spazio delle donne, è un saggio illuminante. Daniela Brogi esprime con chiarezza e determinazione i pensieri dispersi e confusi che da anni vado maturando.

Le donne non rappresentano storie da esibire come creature da includere a rischio estinzione: “… lo spazio delle donne, infatti, non è l’appendice, l’intermezzo, la pezza d’appoggio per non fare troppo brutta figura; non è la sedia in più che si aggiunge” (Brogi, p.20); “… non si tratta di incorporare le donne in un sistema di valori, di canoni e di gerarchie preesistenti e, di fatto, patriarcali. La tradizione va ripensata complessivamente… si tratta di assumere una nuova prospettiva, mobile e multifocale, che, oltre a restituirci la complessità del quadro, sarà in grado di farcelo vedere e capire meglio, rendendolo anche più trasmissibile.” (Brogi, p.21)

Scrivere e leggere 40 storie di donne invisibili, ma non assenti, è un atto, assieme, unificante e divisivo. Unifica nella sintesi che propone rispetto agli eventi e ai periodi storici. Divide nella possibilità di analisi e di rilettura delle donne e delle vicende narrate da parte di ogni scrivente. Ci prepariamo a leggere, quindi, non solo i contenuti, il che cosa, ma il come e il contesto. Non è soltanto il riflesso di ciascuna in queste donne: con i lettori e le lettrici è interessante avviare un sistema di riconoscimento e di significatività per ogni storia di donna. Non voglio cavarmela con un piccolo discorso sugli spazi e sull’attenzione alle donne, desidero affinare uno sguardo ampio sulle forme e sui contesti, sulle modalità di stare al mondo.

“Ragionando in termini di disuguaglianza, non basta fare un corso, una conferenza, una tesi su un’autrice, un articolo, se la sua opera non viene restituita allo spazio della storia da cui è stata sradicata, e, assieme ad esso, alla genealogia culturale e artistica a cui appartiene.” (op.cit., p.26)

E, trattandosi di una pubblicazione per giovani, il discorso vale di più e rappresenta il primo passo per arginare il patriarcato. Esistono tante visioni per concepire, organizzare, praticare e narrare l’esistenza e il lavoro delle donne. Piccole storie di grandi donne tra Bari e Bitonto non vuole essere una pennellata di rosa, ma un percorso conoscitivo e trasformativo di intelligenze, di presenze e di corpi sociali, non perché stranamente eccezionali, ma perché esistenti in uno spazio e in un tempo.

Accolgo così l’opportunità di partecipazione che mi è stata offerta, grata alla casa editrice SECOP e alle compagne in cammino. A me pare che la lettura di questo testo sia un’azione preventiva e che c’entri con l’esclusione di ogni categoria bellica nell’educazione dei/lle giovani, rimettendo in discussione la cultura del controllo sociale sui corpi e sui pensieri delle donne, attraverso la paura e la colpa.

“Nel linguaggio cinematografico il fuori campo è ciò che non viene mostrato ma che tuttavia esiste, perché vive nello spazio di cui l’inquadratura è solo una minima parte. Lo spazio delle donne costruito insieme può funzionare come fuori campo attivo, vale a dire come tipo di messa a fuoco dinamica che genera dubbi e domande intorno a ciò che si vede, creando una dialettica tra ciò che è visibile e riconoscibile e ciò che invece è invisibile, ma tuttavia è implicato.” (pp.97-98)

Riferimenti bibliografici:

  • Daniela Brogi, Lo spazio delle donne, Torino, Einaudi, 2022
  • Jacobin, N°11, 2021
  • MicroMega 4.2021
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