PH. Fonte Silvia Meo
Raccoglimento e meditazione, in una domenica di Avvento, per l’avventura umana di Gesù, attraverso il racconto di uno scrittore amato, Giosuè Calaciura. La fascinazione collettiva verso la figura dei Vangeli diviene causa e origine di una ricerca psicologica, dalla preadolescenza all’adultità. Sono diciassette anni, di luoghi e di esperienze, inesistenti nelle Scritture, e di questo vuoto l’autore approfitta per creare e rappresentare una benevola e nuova antropologia dell’essere umano, di Gesù. Attraverso i deserti, le guerre, la fame e la sete, attraverso il carro di improbabili saltimbanchi, l’avventura umana si dipana, nella coscienza della solitudine e dell’abbandono.
Ricordo i ragazzini di Elsa Morante, disubbidienti e bugiardi, i minori visionari che rischiano diagnosi psichiatriche, animati dall’immaginazione, dalla percezione trasparente della realtà e da una mentalità rivoluzionaria. Sono rivoluzionari perché credono nella umanità degna di relazioni. Felici pochi e infelici molti, come il Gesù quattordicenne, un ragazzo brigante, solo, tradito, derubato, picchiato, a capire il senso dell’esistenza, con la fatica, con le lacrime, con il sangue, con l’amore. Ritrovo la sensibilità di un giovane uomo differente. Non incontro il Gesù virile, mitico e miracolante, ma un giovane che si incammina verso la propria individuazione, un figlio qualsiasi che avverte la genitorialità, come deve essere, assente, lontana, silente. Nel racconto di Calaciura, Giovanni, Barabba, Lazzaro, Marta e Maria sono incontri, sono persone che partecipano alla formazione di Gesù, verso il mondo, come i nostri ragazzi, con libertà, con responsabilità.
Goffredo Fofi, nella prefazione al libro di Morante dice che l’esercizio del potere è un vizio degradante, un vizio che rende ciechi alla realtà: questa è la persuasione che avrebbe dovuto fare della rivolta dei ragazzini una svolta. E ritrovo questa idea nel respiro ampio della scrittura di Calaciura che decide di far credito all’adolescente, decide di fidarsi, di far prevalere il suo volere.
La storia di Gesù adolescente è commovente perché rimanda ai volti, ai silenzi, ai dubbi, ai desideri e alle rabbie giovanili. È questa l’idea trasformativa di preadolescenza, di adolescenza e di postadolescenza in cui maturo le mie riflessioni. E di questa idea mi preoccupo nella consulenza che molti genitori richiedono. Tutti e tutte abbiamo il privilegio di accompagnare i minori, come figure diverse genitoriali, ad allargare la possibilità di divenire quello che noi stessi/e siamo, accompagnando la natura, assistendo e coltivando, generando e custodendo, tacendo e soffrendo, per cautelare e assicurare la crescita libera dell’altro, con i suoi tempi e nei suoi spazi. Senza lo stigma di una diagnosi esterna che non rassicura nessuno. Ogni giovane è questo Gesù che Calaciura racconta, “estremo e imprevedibile”, “selvaggio e incoercibile”, “ribelle e impertinente”, “un ragazzino smarrito, smanioso di autonomia e già consunto dalla fatica della libertà”.
Dunque, l’Avvento si manifesta nella ricerca e nello svelamento dell’avventura umana, nella meraviglia e nell’accoglienza della diversità, nel viaggio di liberazione. Giungere a salvamento non prevede alcun personaggio salvatore, ma è la pratica quotidiana di comprensione di sé, in una realtà. Maria è la madre silenziosa, che accarezza con lo sguardo e capisce oltre la superficie del quotidiano doloroso: “Il solo nemico è lui stesso”. È questo lo sguardo di liberazione sull’essere umano in crescita, è lo sguardo di chi smette di fare la madre, l’insegnante, il prete e di chi, innanzitutto, sceglie la cura, in assenza e in presenza, della propria idea di mondo e di relazione. L’adventus può diventare la preparazione, l’attesa, l’arrivo di molte nascite, non una volta per tutte, semmai, nascite in continuo rinascere. E la Parola di Dio – suggerisce la teologa di mio gradimento Adriana Zarri – detta dall’essere umano, è anche la parola dell’essere umano e di questi ne assume i condizionamenti. L’Avvento è una predisposizione psicologica, a consentire che accada, è un cedimento, è un impoverimento dell’azione. Dinanzi ai figli e alle figlie, prima del nostro fare, c’è il nostro attendere.
Sono loro a intuire il futuro, i ragazzi ostili e teneri che non pregano e non credono. “Paura, fatica e perplessità su un piatto della mia bilancia. Sull’altro, solo faticosa speranza”, dice il ragazzo Gesù. In ogni percorso esistenziale esiste un’armonia da riconoscere e da rispettare; non è il destino, è il senso della vita di ogni persona, è il percorso da compiere ognuno/a per sé, a svelare un po’ per volta la forza e la profezia.
Il giovane Gesù del romanzo ci insegna che “tradimento è gettare via i sogni e la fantasia, la scommessa naturale lanciata da ogni madre mentre accarezza il volto neonato della sua creatura”. E ci confida: “Ma in realtà, se devo interrogarmi, nel fondo del mio animo avvertivo il senso di liberazione, una leggerezza di uccello, la certezza che si viene al mondo solo per abbandonarlo.”
E riprendo, in conclusione, da Morante: “A quanto pare, d’anno in anno / i Felici Pochi diventano sempre più pochi/e sempre più infelici. / E si capisce: / gli Infelici Molti sono troppo affaccendati / a fabbricare trafficare istituire organizzare classificare propagandare / la loro enorme indispensabile felicità / per darsi pena dell’infelicità superflua / minoritaria / dei Felici Pochi.”
Riferimenti:
- Giosuè Calaciura, Io sono Gesù, Sellerio, 2021
- https://www.raicultura.it/letteratura/articoli/2021/10/Giosue-Calaciura-Io-sono-Gesu–a5f3c894-ee00-45cb-ba90-bbdc65ea18a6.html
- Elsa Morante, Il mondo salvato dai ragazzini, Einaudi, 1965, 2012
- Adriana Zarri, Il dio che viene, La Piccola Editrice, 2007