Ph.Fonte Silvia Meo
L’utopia è uno strumento sociale per generare gli sforzi sovrumani senza i quali è impossibile mettere in atto una grande rivoluzione.
Eric Hobsbawn
La povertà è la condizione in cui abbiamo ridotto gran parte dell’umanità, attraverso i processi di molteplici versioni delle politiche neoliberiste. E si evidenzia anche come una povertà economica, sociale, personale. Invece, quando la povertà diviene una scelta, riconosciamo il godimento dell’essenziale, scopriamo il bene per l’essere vivente. L’essenzialità prevede un percorso di conoscenza e di coscienza, le azioni del trattenere e del vedere dentro di sé; diviene, così, un atto di resistenza rispetto al dominio che si ostina a ridurre, a denutrire, a sottomettere.
È sempre faticoso scegliere di combaciare con l’essenza, con il proprio nucleo, in un contesto che stigmatizza e punisce come incapaci gli esseri umani che non si limitano a sviluppare, a consumare, a indebitarsi. L’esistenza di chi non produce e non è felice pare una minaccia per l’ordine sociale. Il capitalismo vecchio e nuovo dichiara guerra in nome del profitto e chi non ha un lavoro o guadagna poco denaro è colpevole, visto che non si è dato da fare abbastanza. Da Michel Foucault a Elettra Stimilli l’invito è a renderci conto di quanto la storia della moralizzazione della povertà tutt’ora rallenti il processo adulto di una umanità ancora alla ricerca di consensi personali, una umanità dallo sguardo miope che non è capace di ristrutturarsi in autonomia, in giustizia e in libertà.
La formazione degli adulti di cui mi occupo sembra un orpello inutile sempre più in disuso, uno strumento per aggiudicarsi finanziamenti occasionali che non incidono sul sistema strutturale, sulla visione d’insieme della comunità vivente. La povertà educativa è un’abitudine copionale a reiterare le stesse esclusioni, con i linguaggi, con le azioni ripetitive e non richiama soltanto il diritto all’istruzione, la difesa della scuola pubblica e l’opposizione all’alternanza scuola-lavoro.
Le persone adulte svolgono sempre la funzione pedagogica e, dunque, invece che per caso, la proposta è divenire educatrici consapevoli, per progetto. Gli ultimi nella scala sociale non vengano solo assistiti, compatiti e mantenuti come poveri, ma diventino soggetti attivi e coinvolti nel cambiamento sociale.
Le tante facce della povertà e della ricchezza miserabile e armata (sempre di ricchezza povera si tratta) rimandano, tutte, alla povertà del degrado psichico che non si riferisce solo ai mezzi materiali, ma coinvolge la dimensione relazionale, affettiva, politica, richiama le categorie morali e i valori simbolici, denuncia la privazione di esperienze culturali, di crescita interiore, di apertura di opzioni pensabili. In un certo mondo del lavoro, posso attraversare periodi in cui più che una libera professionista mi vedo una precaria ma, certo, non sono una precaria dell’esistenza.
La povertà psicologica, in particolare, si esprime nella malattia della carriera verticale, della competitività ritenuta necessaria e che, al contrario, offre più opportunità a chi ha il denaro per scegliere. Ripenso alla povertà psicologica del dominio di alcuni capi sui lavoratori e sulle lavoratrici, di alcuni genitori sui figli e sulle figlie, dell’individuo, irrimediabilmente, a comandare e a controllare sull’altro. Le diverse dimensioni della povertà sono riprodotte e cristallizzate nei modelli di comportamento manipolativo e abusante.
Riconosco la malattia del potere di sé su se stessi/e che inchioda al dovere della perfezione, della forza, della velocità, della riuscita, sempre, dell’approvazione compiacente, dello sforzo perpetuo verso chissà quale conquista. Il pudore e il desiderio della educazione profonda si coniugano nel lavoro di interiorità. Il pensiero interiore è nominato come intimo, oscuro, perturbante, oppure, è animus e anima, è pneuma o psyche.
Il giornalista e scrittore Lucien Descave nel 1914 sfida la demagogia comune capovolgendo il Sermone della Montagna nel suo librino Barabbas. Paroles dans la vallée. Cinico, sgradevole, grottesco e crudele, ecco il vilain homme, a profanare i grandi precetti della vittoria, della ricchezza, del successo, fra la mendicità e la rivolta, fra il senso di giustizia e la provocazione sociale. La disobbedienza e il rifiuto all’omologazione richiedono una disciplina dell’intelligenza e un ampliamento del carattere: Beati i ribelli perché non entreranno in alcun regno (p.57)
Ero entrato in una chiesa e, per mezzo di una bacchetta rivestita di vischio, pescavo monete in una cassetta agganciata e chiusa a chiave. Arrivò un sacerdote, che mi fece arrestare. «Ma è la cassetta per i poveri, dissi; dunque, di conseguenza, è la mia cassetta». Al che il prete rispose: «Ne siete sicuro? Siete sicuro che questa cassetta non fosse là semplicemente per vostra tentazione? In ogni caso, siete colpevole di avere anticipato la distribuzione che avrei giudicato conveniente. Aspettate da secoli, potevate ben aspettare ancora. Ma i poveri sono sempre gli stessi: hanno fretta di gioire!» (pp.31-32). La mia gioia spaventa. (p.52)
Riferimenti bibliografici
- Jacobin Italia, Rivista trimestrale, n.18 – primavera 2023
- Lucien Descaves, Il vangelo degli straccioni, Ortica editrice, 2021