Portugallia

Genitorialità e Amore

Selma Lagerlöf, L’imperatore di Portugallia, Iperborea, 2014

Portugallia

Selma Lagerlöf, premio Nobel per la letteratura e prima donna nominata fra gli Accademici di Svezia, nasce nel 1858 nel mondo arcaico, fiabesco e spirituale al confine fra Svezia e Norvegia, fra odore di boschi e di contadini rudi che dolcemente suonano il violino.

Gli alberi-troll dagli occhietti maligni che ritirano i loro artigli con la melodia dei canti di Natale, costituiscono lo scenario della storia straziante e gentile sull’amore complicato in famiglia. Ogni capitolo breve è una pennellata sapiente fra privato e sociale, fra immaginazione e realtà, fra desiderio e morte.

Incontro padroni stupidi e disumani e lavoratori sofferenti e profetici e incontro Jan, duro e affaticato contadino di Skrolycka, che scopre e vive la felicità nella paternità, nell’appartenenza e nell’attaccamento alla piccola Klara Fina Gulleborg, nome magnifco che richiama la luce, il calore, la preziosità del sole.

“Ma ora, che aveva una figlioletta così straordinaria, Jan non era più soltanto un povero bracciante. Ora aveva un tesoro da mostrare e un fiore di cui fregiarsi. Era ricco con i ricchi e potente con i potenti.”p.45
“Non è solo il giorno in cui è nata Klara Gulla, è anche il giorno in cui è nato il mio cuore.” p.32

Ma, giovane e bellissima, per quindici lunghi anni, Klara abbandona la casa paterna, senza dare notizie di sé. Per Jan diviene impossibile lasciar andare la figlia, luce e ragione della propria vita. Nelle relazioni fra genitori e figli, la distanza marca l’autonomia e la realizzazione libera e compiuta dell’amore. Jan non ce la fa, trasforma in delirio il bisogno di possederla e si protegge dal dolore trasfigurando la realtà.

Nella fantasia amorosa di suo padre, Klara, invece che una prostituta, appare come la discreta e straordinaria imperatrice di Portugallia, paese immaginario. L’amore che non prevede anche la libertà diviene un inganno che trasforma il padre in un folle.

Ma Jan ci convince che la protezione di sé si può esercitare anche smettendo di curare la follia. Il padre, la made e, al suo ritorno, la figlia si lasciano attraversare dalle fantasie, leggendole e assumendole come una difesa e come la forma dell’amore ostinato che continua a credere, consapevole e profetico, alla felicità della propria carne. A dispetto degli avvenimenti, delle calunnie, a dispetto della sua stessa vita, Jan si fa strumento di coscienza e di redenzione.

La storia imperdibile, narrata dalla scrittrice sapiente, sensibile e paziente, continua ad ispirare le vite di madri, di padri, di figli e di figlie, redime e rilancia prospettive e riflessioni sulle complesse relazioni familiari.

“Jan non è matto. Il signore gli ha posto uno schermo davanti agli occhi, perché non veda quello che non sopporterebbe di vedere. E di questo non si può che essere riconoscenti.”p.230

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