È gradevole e convincente la Storia raccontata da Luciana Castellina, pensatrice e giornalista, iscritta al PCI nel 1947 e radiata dallo stesso partito nel 1969. Leggo di eventi che prevedono la presenza di vinti e non solo di vincitori, di uomini e anche di donne, di gente potente e miserabile, di umanità tormentata e perdente, da qualunque parte io guardi. Intuisco una Storia scritta dalle menti, dai corpi, dai cuori di ogni persona coinvolta, giacché “il comunismo è colmo di errori e di orrori, ma anche di dolorosissimi amori” (p.153).
È interessante il modello del racconto che intriga e appassiona: di ogni fatto storico, Castellina indica una lettura politica e psicologica, offre una prospettiva sociale e pubblica, privata e introspettiva. Vedo le voci dei protagonisti, guardo la pelle, ne percepisco con l’olfatto il pensiero. L’attenzione alle scelte artistiche, ai desideri d’amore e alle visioni politiche aiutano a compiere il viaggio al contrario rispetto ai testi scolastici: dai nomi di personaggi storici lontani e noiosi, alla quotidianità di persone vive che patiscono, scelgono e confermano una idea di mondo e di relazione che un tempo chiamavamo comunismo. La denuncia politica e la sensualità amorosa, la poesia del proletariato e la resistenza in carcere o in montagna, il lavoro e la fatica, le abitudini di studio e di piccole comunità, i sentimenti: di tutto questo è fatta la Storia che diviene, grazie a Luciana Castellina, non solo conoscenza di fatti e di idee, ma sentimento di gratitudine e possibilità di pensare il futuro. Diviene speranza e riconoscenza. Rimane fra le mani un libro di interviste e di ricordi, commovente e giusto.
Turchia, Creta e Stati Uniti sono paesi reali, amati, difesi, vissuti da tre coppie determinate e spaventate, coraggiose e fragili. L’amore, la salute, la certezza nel credo politico, il carcere, la lotta per resistere rappresentano il filo conduttore degli amanti raccontati.
Capisco la clandestinità e la passione politica, l’isolamento, la passione e la leggenda nella vicenda, più lungamente narrata nel libro, di Münevver Andaç e Nâzim Hikmet. A sessantuno anni, nel 1963, Nazim, espressione del comunismo romantico, come lo definì la figlia di Stalin, Svetlana Allilujeva, scrive: “… la morte mi ha mandato la sua solitudine ancora prima del suo arrivo” (p.141). Münevver ci lascia nel 1998 avendo dedicato tutta la vita alla traduzione delle opere del suo Nazim.
Mi importa di Nikos Kokovlìs e Arghirò Polichronaki che nel 1948 si incontrano e si scelgono sulle montagne cretesi durante la guerra civile greca. Castellina li incontra nel 2007 in un villaggio vicino a La Canea e conosce in modo accurato la storia dei guerriglieri cretesi, abituati, ancor prima, alla guerra contro i turchi. È curiosa l’avventura leccese di Nikos e Arghirò sbarcati nel 1962 e nascosti nella scogliera di Porto Badisco, vicino a Otranto.
E, infine, rinnovo l’amore di distanza e di durata fra Sylvia Berman e Robert Thompson. Studioso di Marx, Engels e Lenin, Bob viene accusato nel 1949 dal pubblico ministero che, a dimostrarne l’infamia, legge brani del Manifesto del Partito Comunista e lo incolpa di rappresentare una minaccia per gli Stati Uniti. Quando, nel 1957, Sylvia se ne innamora, Bob è già stato condannato, poi latitante e ancora processato e imprigionato. Tutte e tutti militanti dell’esistenza per i quali, come fu per Robert Thompson, nel 1965, è difficile anche la degna sepoltura.
Ritorno ad alcuni versi del 1951 di Nâzim Hikmet:
Quando mio figlio
avrà la mia età
non sarò più di questo mondo.
ma il mondo sarà
una meravigliosa culla a dondolo
tutti i bambini
bianchi
neri
gialli,
sul rotondo cuscino di seta blu.
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