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Antigone, non sempre

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Spesso ritrovo riferimenti ad Antigone per sottolineare, in alcune vicende, la scelta di una urgenza feroce, di una necessaria disubbidienza civile. Certo, dinanzi ad un comando che offende la vita, la coscienza chiede di intervenire senza indugiare. So di me, in relazioni di eccedenza, pronta a spendermi, a costo di bruciarmi, come le storie sacrificali del libro Cuore, allontanate in analisi, ma rimaste nella memoria del corpo. La procedura richiede di farsi eliminare, di offrire la vita o di impazzire dal dolore per cause di dignità, di giustizia e di difesa delle persone e delle idee. E ricordo episodi in cui mi costrinsi a dedicare tempo ed energie, anche economiche, a difendermi più che a studiare, a far circolare le idee e ad applicare le buone prassi. Scegliendo di comportarmi secondo coscienza, assumevo le conseguenze che magari all’inizio sottovalutavo, sopravalutando la mia forza. Con i riflettori da poco spenti sulla giovinezza, inizio a considerare Antigone una figura letteraria della tarda adolescenza e invito a riflettere su un’altra prospettiva possibile dell’età adulta: la capacità di prevedere e di creare in tempo situazioni nuove, evitando il contrasto diretto, la lotta vis à vis. È in campo la capacità profetica, come dichiaro in una recente riflessione. (1)

Disubbidire alle leggi non si può, anche per sicurezza, e in aula di formazione non si deve neanche dire. Esprimo la radicalità non più soltanto con l’esposizione di me e con l’esasperazione dei comportamenti, ma prevedendo e organizzando. Capire, Coinvolgersi e Compromettersi sono tre livelli ben distinti nello svolgimento delle attività professionali. E per compromettermi bisogna che abbia appreso bene a proteggermi, a costruire reti resistenti, ad avere alternative certe. Il ruolo, per esempio, può proteggere. Come anche proteggono le piccole comunità di riferimento su cui poter sempre contare. Il tempo che trascorre inesorabilmente e i luoghi diversi possono rappresentare protezioni. Mai penso di non aver nulla da perdere perché questo è l’inganno del salvatore, della vittima sacrificale e dell’arrogante persecutore.

Quando mi sono ridotta al tiro alla fune, al braccio di ferro, al muro contro muro, ho perso sicuramente, ma gli altri non hanno vinto e, soprattutto, mi è dispiaciuto perché si è diluita l’importanza della causa iniziale della giusta contesa. Il potere si nutre di giochi psicologici e trascina anche i più scafati, inevitabilmente, nel territorio a lui noto del triangolo drammatico. Il potere specula sulle paure, ma è sano ed è protettivo riconoscere di aver paura per valutare tutte le variabili prima di agire.  Se i tempi sociali non sono maturi e se le persone non affinano il discernimento si creano solo divisioni fra chi è d’accordo e chi è contrario, ma il dittatore non avverte neanche la vergogna e lo scorno.

Magari Antigone, nella sua situazione, chiede solo sepoltura degna per il fratello e non pensa di sfidare nessuno. Ma Creonte, il patriarca di turno, si sente sfidato e non aspetta altro. La giovane sceglie ciò che ritiene il bene e muore suicidandosi, dopo essere stata murata viva. La figlia di Edipo sceglie la morte per evitare la pena e il suicidio diviene così l’ultimo atto di disubbidienza, la chiusura tragica del copione, il finale drammatico del gioco al rialzo della posta. È una chiusura prevedibile. Il potente incarognito può produrre tre uscite di copione: l’omicidio, il suicidio e la follia. Non chiede di capire o di risolvere e parla di vittoria del principio e della legge lì dove, davanti ai suoi occhi, hanno già perso gli esseri umani. Il tiranno è cretino ed è volgare e, quindi, è pericoloso reggergli incautamente il gioco, nella parte che ci ha assegnato, paradossalmente, di sue persecutrici o vittime o salvatrici. Prestarmi ai giochi di chi finge la potenza negando la paura non significa, data la sua patologia, cedere al ricatto, ma facilitargli la deriva a calunniare, a delirare, a trovare forme diverse di sopraffazione.

Si sarebbe potuta evitare la scelta ultima e il coraggio estremo contro il dominio iniquo che si fa scudo con il protocollo e con la legge? A quel punto, no. Per questo, credo nella saggezza che previene ed evita il corpo a corpo perdente già dall’inizio. L’oppressore, anche donna, va riconosciuto e isolato creando bande, anche nel senso di orchestre, di uomini e donne perbene,  creando piccole comunità in viandanza che accolgono sempre più persone come testimoni di un altro modo di stare al mondo. L’inganno del despota è ridurre la forza dell’avversario, spostando la tensione dalla difesa delle persone e dell’idea alla sopravvivenza personale di chi si muove per soccorrere. E io taccio, mi allontano, scelgo di non farmi trovare, di non accogliere il marchio prefissato di nemica. E mi garantisco la salute e la continuazione tignosa e metodica dell’opera intrapresa.

Antigone è una delle scelte possibili, è giovane, è donna e il maternage è inevitabilmente atteso da un modello maschilista che trova le ragioni per perpetrare i suoi scempi e rimanere identico a sé stesso, proprio nel sacrificio estremo di una giovane donna. Qualche volta le va bene e se ne può tornare a casa, magari sparendo per un po’ di tempo o per sempre dalla socialità. Invece, altre volte, come nel caso di Antigone, alla fanciulla disubbidiente è riservata solo la morte. Mi piacerebbe che l’assunzione della responsabilità e del rischio potesse non pretendere sempre l’ardore della giovinezza, ma la lenta impostazione e il coordinamento e la lungimiranza dell’adultità, dell’età genitoriale. In alcuni casi, le giovani vanno protette da sé stesse, dalla loro urgenza di giustizia davanti a interventi pur provvidenziali. La generosità senza protezione può essere una grave ingenuità, visto che il persecutore è sleale e utilizza armi, purtroppo note, come il ratto e lo stupro, intesi non solo come metafore, e come la calunnia e il discredito.

Oggi sono convinta che il dissenso, partendo dai professionisti più anziani, non può manifestarsi solo con proposte ardite, ma può diventare uno stile di vita organizzato con studio, calma e determinazione. L’eroismo come sistema, anche di contraddizioni, non richiede di diventare eroine che il potere velocemente consuma. La lotta alla tirannia non è mai del tutto pacifica, ma può non essere sempre patita in prima linea e può evitare il martirio. Il carnefice beneficia delle situazioni oppositive, le cerca e se ne nutre con avidità. Da una parte lo Stato con la legge della giurisprudenza e dall’altra la legge dell’umanità e della coscienza: questa scissione è costruita, difesa e strumentalizzata dal potere maschilista che prova a cancellare la politica sana della relazione. Non sono inibita e non cedo sulle visioni nelle quali credo e non discuto sulla militanza e sulla responsabilità di coscienza.

L’impegno è considerare tutte le prospettive, continuando a discutere: il generale e il particolare, lo scenario ampio e il contesto, il personale e il sociale, la legge e la virtù. Cogliere il kairós significa riconoscere lo statuto umano che non separa il diritto e la morale, ma ne conosce le ragioni e ne condivide i processi decisionali. Nel lavoro di formazione, la legge fuori da sé e la legge dentro di sé non sono in antitesi e rappresentano il territorio per confrontarsi e modificare, allargando le mappe mentali. Il nuovo apprendimento è la misura del limite e, ancora una volta, l’analisi di realtà che affina il pensiero e trattiene la scelta immediata, consolidando, contro il dominio che sbrana, un cammino segreto più sotterraneo, e forse più doloroso, una antropologia della comunità da condividere con più persone possibili.

(1)

http://www.ndcomunitadiricerca.it/la-relazione-di-consulenza-e-il-fastidio-della-profezia-da-cassandra-archetipo-della-maga-a-ecate-dea-psicopompa/

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