Rifiuti Ombre

Esperienze di formazione a distanza

Rifiuti Ombre

Foto di Tim Noble e Sue Webster

Il faut se méfier, d’accord, mais pas de tout refuser…

Simone de Beauvoir, 1974

Le riflessioni proposte originano dalla esperienza formativa attraverso una piattaforma per la didattica a distanza (DAD) con i/le partecipanti ai corsi degli istituti tecnici superiori (ITS), per la formazione tecnica specialistica e la ricerca applicata nel settore alimentare.

La scuola di educazione Alla persona, in continua ridefinizione e condivisione, propone la formazione per gli adulti non come l’insegnamento; io mi riconosco come formatrice, né insegnante, né psicoterapeuta. In breve, nei moduli a me affidati, il fine è la relazione e la creazione di comunità di ricerca e di interscambio. L’obiettivo riguarda la coscienza e la consapevolezza di sé e del gruppo. Le metodologie sono necessariamente interattive. Significa che, in ogni momento, ogni persona partecipante, compresa l’esperta, ha diritto alla parola di pari valore. Gli strumenti sono il corpo, la voce e l’intuizione o l’intelligenza sociale. Il monitoraggio prevede il confronto frequente nel gruppo. La semina certa, seria e sistematica della pratica relazionale è parallela alla valutazione meccanica dei risultati.

Negli ultimi anni è un continuo apprendimento con le protesi artificiali! Ho l’opportunità di fare pace con il mondo digitale, utilizzando gli incontri a distanza con i gruppi di lavoro e, singolarmente, con i/le responsabili di azienda. Certo, la formazione a distanza non offre buoni argomenti a chi si incarica di difenderla e si ripromette di evidenziarne gli aspetti positivi. La relazione formativa prevede la sperimentazione del corpo al massimo grado e non l’omologazione al livello minimo, senza conflitto e senza odore. Ma scopro che ciò che è virtuale, in fondo, è reale. Voglio dire che la didattica a distanza rivela le luci e le ombre di ciascuno come una lente di ingrandimento.

Bisogna diffidare ma non rifiutare del tutto, affermava Simone de Beauvoir, in un altro discorso, ma esprimendo un pensiero con applicazioni diverse. E ci fa bene il tempo dilatato della diretta online, un tempo interrotto senza interruzione di intimità attesa e timorosa. In diretta, viviamo un tempo liquido, ma non liquidato in fretta, lento, di parole ancora più scelte con cura e scandite bene. Guidiamo il tempo paziente della riflessione, prima di ogni risposta, della comprensione, della ripresa naturale. Sperimentiamo la cura della interazione, la noità, il sentire di essere condannati ed eletti alla relazione, nel suo nucleo solitario e originario, protetti dal video e dalla distanza.

Viviamo un tempo sacro in cui l’intelligenza sociale può manifestare abilità mentali e psichiche: l’elaborazione di nuovi modelli, il pensiero astratto, la comprensione dell’essere al mondo solo come relazione e la capacità di affidarsi ad essa. Per chi partecipa, è l’esercizio di accettare l’inaccettabilità, dunque, di escludere la carnalità, il respiro addosso del corpo altrui. Non siamo più in presenza del corpo dell’altro ma solo della sua immagine. Dalla mancanza del contatto origina l’attenzione alla voce e alle parole, riformulando l’organizzazione sociale dell’incontro.

Sapere di essere potenzialmente visitati dal virus significa essere penetrabili, a prescindere dalla propria volontà. Non possiamo uscire dal tunnel della pandemia senza farne esperienza anche attraverso la formazione a distanza. Permetterci di contattare noi stessi e la voce interiore è un obbligo e non è più una opzione. L’analisi personale ha valore di necessità: è il tempo nuovo ed è in un monitor, la stanza tutta per sé. Richiamiamo la presenza percettibile, la consapevolezza della presenza per assenza, anzi, presente proprio perché assente. Sperimentare una vicinanza differente è possibile se una persona è risolta e, dunque, è capace di scambio, di autonoma condivisione di sentimenti e di pensieri. In questo modo, diventiamo persone portatrici di salute psicologica.

In realtà non sono davvero riuscita a vederla, sa; ma ho sentito che c’era.

In che senso?

Certe persone hanno una presenza percettibile*

 Rileggendo Arthur Miller, ogni persona è una presenza percettibile se affiniamo l’intuizione e il desiderio di spenderci in una relazione possibile. Nell’esercizio della professione in questo periodo di lontananza non voglio inventarmi nulla: i salotti, le lezioni, gli assolo. Se manca la relazione in presenza, vale l’intuizione affinata del respirare assieme, vale la pratica della distanza che presuppone la confidenza con il silenzio, con lo spazio e con il limite del tempo, con la durata delle cose. Apprendiamo il governo dello scuro e dell’ombra.

Durante gli incontri formativi, le immagini rimangono fisse per imparare a volare in basso, in profondità e non solo per pretendere di volare in alto. Infatti, la vista, attraverso il movimento innaturale, di posa, soli, dinanzi alla telecamera, può essere invadente. Le immagini ricche, le riprese luccicanti mi appaiono sciocche e non riesco a parlare con disinvoltura, da sola, davanti ad una telecamera accesa, come un antidoto contro la paura. Reputo indispensabile che dinanzi a me, dall’altra parte, ci sia una persona, viva, con la quale interagire in tempo reale, con tutti i filtri e i disturbi della linea. Apprendiamo a rimanere nella relazione senza precipitare nel fondo della mancata presenza, guardando a testa alta la prospettiva, l’orizzonte futuro, il desiderio dell’alterità, in qualunque modo possa esprimersi. Ho sempre pensato che quando la vita è precaria valga ancor più la pena di non sentirci precari nell’esistenza e capaci, di conseguenza, di non diventare oggetti senza valore.

La formazione da remoto consente un elemento nuovo: la psicologa e il cliente hanno paura assieme. Contemporaneamente, abbiamo il timore di perderci e il bisogno di protezione, al di là delle difese personali e viviamo in tempo reale il sentimento d’incertezza. Nel processo formativo, la differenza non la fa il medium, la piattaforma, ma le persone. Il video ci sposta dal centro, ci consente di percepirci parziali e di smetterla di far coincidere il proprio io con il tutto. Proprio quando il corpo dell’altro è distante, è possibile registrare un’altra esperienza con quel corpo, a partire dalla distanza, dalla voce e dalla parola. Siamo spettatori/trici gli uni delle altre ed entriamo nel luogo dell’altro, anche quando, quel luogo, alle sue spalle, è opaco. L’altro/a, il/la cliente non è l’oggetto inferiorizzato dal mio ruolo nel mio studio ma, in modo naturale, diviene il mio specchio. La distanza offre la possibilità di lavorare sul senso personale della prossimità.

L’uso dei social presuppone una profonda conoscenza psicologica dell’io e i vantaggi della tecnologia sono possibili solo quando la persona è consapevole di sé. In caso contrario, registro interazioni di manipolazione, di simbiosi, di abuso di potere, di mercificazione dell’interiorità. Più vasta è la scelta che offre la tecnologia, più alto è il rischio di un sovraccarico d’informazione. Ricordiamo di essere corpo e dotati di una storia, di un movimento, di iniziativa e di competenza emozionale. Anche a distanza, con la formazione promossa dalla scuola di educazione Alla persona, facciamo esperienza di realtà: rimaniamo tesi, insicuri, precari, poveri, spesso, in strutture sempre più gerarchiche e grasse di norme procedurali.

Purtroppo, negli ultimi anni, la visibilità, la popolarità, il riconoscimento avevano assunto un’importanza eccessiva. Anche la psicologia, all’interno dell’azienda, aveva rappresentato una forma diversa di controllo, sotterraneo e sottile, con l’illusione che fosse la personalità e non lo status ad avallare il successo del lavoratore. Alcuni non hanno mai ceduto né creduto al discorso ideologico dell’azienda come una famiglia, giacché la cooperazione e la socialità vantati erano strumenti di dominio e di arricchimento del feudatario e non una base culturale alla quale, per prima, il vertice aderisse. I corsi manageriali sulle competenze comunicative non prevedevano che la nozione psicologica di comunicazione riguardasse la fatica dell’analisi personale, ma rilanciavano, unicamente, in modo orizzontale, l’immagine di sé, funzionale al sistema, offerta agli altri. Infatti, conquistare il dominio prevedeva e, in molti casi prevede ancora, la verifica del proprio effetto sugli altri. In questa ottica obsoleta, un buon comunicatore è empatico, cioè interpreta (sic!) il comportamento e il sentimento altrui con l’imperativo di sintonizzarsi e adattarsi più facilmente allo stile comunicativo dominante.

Attraverso l’utilizzo della dad, la democrazia non è solo una forma di governo, ma rivela coniugazioni economiche e, soprattutto, psicologiche e sociali.  A differenza del capitalismo con un obiettivo elitario e centrato sul potere, la democrazia è un ventre e riflette faticosamente sulla relazione come nutrimento e forza. L’autonomia relazionale prevede l’alterità come pratica e come base di responsabilità. Ogni persona è l’altra oltre che se stessa, contagiata dalla diversità e non contaminata nella simbiosi, nella relazione pericolosa e salvifica, vincolante e liberante. L’interdipendenza, la giustizia, la fiducia originano dalla protezione di se stessi/e, dall’autotutela che non è obbedienza passiva. Non vantiamo la fretta di risolvere o l’arroganza della soluzione, solo la certezza di rimanere nella relazione, in una intimità cosciente: talvolta, non so che fare, ma rimaniamo assieme, in un verso di poeta.

 

*Arthur Miller, Presenza, Einaudi, 2017, p.138

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