Qualche giorno fa, il 17 novembre, ho onorato i 40 anni di laurea, donandomi la partecipazione alle lezioni, Le donne pensano: Nuove ghinee, condotte dalla filosofa Annarosa Buttarelli, presso la storica Libreria delle Donne di Milano. Mi offrirò tutto il tempo che servirà per ritornare sulle tematiche e sulle argomentazioni complesse, sui riferimenti numerosi a testi e idee, sull’esperimento di pensiero che l’Accademia propone attraverso la sua Direttrice scientifica.
Adesso, appena spenti il microfono e il video, ricordo un particolare, un appunto sulle lettere minuscole delle parole. Buttarelli, seguendo il quarto volume dei Quaterni di Simone Weil e oltre la tradizione metafisica, come da Nietzsche in poi, ragiona sul Bene e gli toglie la maiuscola, per evitare, anche, le definizioni consolidate e ipocrite della morale. Dunque, rimane il bene, al di fuori di ogni morale, anche per i credenti, il bene nella relazione o niente, il bene concepito come atto comune e in comune, come gesto scelto e dimenticato, “senza lasciarti trattenere da colui che hai salvato” (Françoise Dolto)
La questione segnala aspetti fondamentali di una psicologia con la lettera minuscola, senza alcun potere sulla persona, senza le forzature interpretative, senza la richiesta di una rivoluzione obbligatoria, anche in un contesto aziendale. Minuscola risulta l’azione quotidiana e minuscolo è il movimento che testimonia la coscienza, lo spirito di servizio, il lavoro di ricerca e di comprensione del copione.
Confermo la lettera minuscola ogni volta che nomino la donna, il bene, l’amore, lo studio, la comunità, la vita. La lettera minuscola offende, come deve essere, il modello del vero Amore, dell’Uomo vero o, peggio, della Madre vera, del Bene assoluto, della Laurea in Psicologia. Credo in una psicologia con la lettera minuscola che rimandi all’analisi personale, allo scarto, alle periferie, all’intimità e alla fatica del ragionamento. Assumo il rischio di una parola psicologica che risulti una banale traduzione degli assunti filosofici a cui rimanda. Indago le espressioni di una psicologia e, quindi, di me psicologa, che proponga bene, il bene e che assuma il male non come nemico esterno, ma come una possibilità in ciascun essere umano.
Ripenso all’idea stessa di cura, di risoluzione del malessere psicologico e del corto circuito relazionale. Non lavoro per riportare la marginalità al centro, ma per viverla lì, dov’è e com’è. Non perché l’io ritrovi la sua appagante soggettività, ma perché io stessa ne apprezzi la fallibilità, in ogni colloquio. Non perché l’altro guarisca, funzionale al sistema, ma perché sia libero in un mondo che contenga anche la sua differenza. Continuo a proporre incontri psicologici attraversati dal pensiero artigiano. Chiamo così, pensiero artigiano, l’energia relazionale liberata dalle prove di virilità, l’energia della gioia e della sofferenza, della leggerezza e della profondità vissute assieme, senza lo sforzo che una delle due prevalga, combattendo, sull’altra.
Nelle relazioni di coppia, aziendali, familiari, nella stanza della psicologa, il minuscolo della parola spegne le luminarie appariscenti, predispone al silenzio, al vuoto, alla distanza, alla mancanza che non sono il nulla e non dichiarano il fallimento. Indicano la semina avvenuta più che il successo raggiunto e segnalano la predisposizione, l’orientamento continuo al cambiamento e non il successo conquistato una volta per tutte.
Minuscolo è il battito d’ali della farfalla che esprime la possibilità dell’uragano dall’altra parte del mondo. Minimo è il movimento che può risultare trasformativo. Invece, il contratto patriarcale, sociale e privato, valuta come perdente, inefficiente, tardivo, qualunque risultato che rallenti la sconfitta dell’altro, che si tratti di mercato, di prossimo, di passo. Nel mondo del lavoro, l’efficienza e l’efficacia sono considerati il binomio valutativo originario, confermando i codici di dominazione e di sottomissione sottintesi, infondo, come indispensabili, per comandare e per vincere.
E ritorna la scuola di educazione Alla persona®: in ultimo, ho scelto di cambiare le lettere da maiuscole in minuscole, a risignificare il lavoro oscuro, lento, minuto, trascurabile, impercettibile intorno alle relazioni e alle persone che non sono categorie intellettuali, ma esprimono la realtà sociale, fra la carne e il potere. La preposizione Alla rimane in maiuscolo, indicando con la luminosità della lettera grande, la via e il verso. Dico meglio: Alla è la preposizione che indica una causa e uno scopo, un tempo e una direzione precisa: ogni azione è scelta verso la persona, a causa della sua esistenza, a favore della sua crescita, incontro al suo tempo di evoluzione, nel modo in cui sa e può apprendere. La preposizione Alla indica la strada da compiere verso la consapevolezza, rappresenta il senso sociale della propria presenza nella comunità e della presenza dell’altro.
L’attività psicologica si realizza intorno al bene e al buono, da indagare nelle proiezioni personali e nelle strutture mentali e sociali. Dopo 40 anni, ritorno alle domande fondamentali. Rifletto spesso su un testo di Annarosa Buttarelli, Maledire, pregare, non domandare, in La magica forza del negativo/Diotima, Liguori Editore, 2005, pp.35-51:
“Per tornare al punto: non è dunque possibile, a mio giudizio, identificare il lavoro del negativo con il male. Di fronte a questa consapevolezza per me c’è sempre stata inquietudine, ma anche curiosità, perché quando il male mi raggiunge, quando qualcuno o qualcuna ci fa del male, quando qualcosa fa male fuori della nostra portata trasformatrice, cosa accade? E ora soprattutto la domanda è: cosa faccio, come hanno fatto le molte donne che non si sono regolate costruendo etiche e non si sono fatte proteggere dalla consolazione delle buone azioni a tutti i costi? Il problema, abbiamo visto, consiste nel saper ritirare la volontà di pensare alle cause ultime e di correggere, di dominare il male contingente ritenendolo un errore da trasformare con la nostra benevolenza. Inoltre, in mancanza di morali e di prescrizioni etiche, si mostra anche l’altro lato dello stesso problema: come evitare di rendersi complici del male contingente, e anche come evitare di aggiungere male al male, come sarebbero ad esempio la risposta suicidaria o omicida? Cosa ci resta? Ci resta il lavoro del negativo – una forma di passività – che può fare molto di più dell’ingombrante volontà positiva.”