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Al Maquam, la storia di Naìma (O del corpo che si rivela), Kurumuny, 2019

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La collana Camminamenti creata e diretta dalla poeta Marthia Carrozzo inaugura e benedice le vie diverse delle scritture in movimento da oriente ad occidente, dal femminile al maschile, dal poetico al politico, originando dalla visione di una corporeità integra e cosciente, al fine di “farci trascorrere un po’ di tempo in quella che è una posizione sempre scomoda, proprio perché ci obbliga ad abbandonare il nostro più confortevole punto di vista.” (M.Carrozzo)

Il progetto prevede il sentire e il pensare in profondità, assieme, verso un progresso inteso come un movimento circolare trasformativo e non solo come una linea ascensionale che rimanda sempre ad un potere. In questa opera, celebrata dalla significativa presenza di Joumana Haddad e di Nabil Salameh, Marthia Carrozzo è ancora più determinata ed è socialmente impegnata nel testimoniare un’idea, una erotica del corpo che, di conseguenza, diviene scelta di comunità politica.

Marthia, Joumana e Nabil attestano con i versi musicali la propria storia di carne, di idee, di scelte; non sono asociali esponenti di una subcultura che genericamente richiama i sentimenti. Al degrado odierno del linguaggio e dell’istinto occasionale ci guidano a riscoprire il Tarab, l’estasi dovuta alla parola cantata. Condivido, come nella dichiarazione di intenti, la poesia che anticipa e che prepara il riconoscimento della bellezza, predisponendo il corpo ad accogliere l’energia vitale. Ritrovo la passione consapevole che origina dalla ipseità e giunge faticosamente all’alterità, unico strumento solido di relazione e di cambiamento. La passione come vis, come valore e virtù, sostituisce il linguaggio emozionale dei luoghi comuni e della inutile autocelebrazione. Il dire poetico necessita che sia di éros e di pólis: il corpo personale partorisce la rivoluzione, dapprima silenziosa e sotterranea, e che si manifesta, in seguito, visibile e irrimediabile nel corpo sociale.

Al Maqam diviene il luogo dell’incontro naturale ma, prima, si propone come mappa mentale allargata e curiosa, disponibile e grata nella diversità. In questo caso, la Poesia non è solo un documento prezioso per esprimere buoni sentimenti o per saperne di più, ma svolge pienamente una funzione politica, assumendo in sé il canto, la musica, la danza dei corpi liberati.

In un momento di disorientamento generale, l’atto poetico che Carrozzo propone attraverso le voci diverse di Haddad e Salameh rappresenta un impegno personale, sociale, politico perché emerga una umanità forte e coesa nella difesa degli esseri umani vilipesi e oppressi. A partire da sé. Come Naìma e Jamila e i partecipanti tutti della loro scuola. I versi si rivelano una “necessità imprescindibile” (N.Salameh) e rimandano ineludibilmente al vissuto dell’umanità, senza veli e senza difese, ristabilendo il primato cognitivo ed emotivo della lingua come medium che rende possibile la conoscenza e l’appartenenza alla Terra.

La poesia, quindi, scelta come un nuovo palinsesto, “un inseguimento appassionato del Reale” (2), cosciente delle sue “terribili responsabilità” (2) rispetto alla creazione e alla strutturazione di una visione di mondo che non deforma la verità a sevizio dei potenti.

L’azione ha inizio da sé stessi, da Naìma, donna archetipo, che con l’arte orale della parola ci conduce verso l’estasi mistica e la poesia erotica. La ricerca, la conoscenza che è páthos e la rilettura del mondo arabo aprono passaggi di comprensione e di liberazione di un io occidentale ostinato e chiuso anche nella struttura identitaria del lessico. Non esiste profanazione peggiore della salvazione forzata e lo scontro di civiltà è solo scontro di ignoranze: riprendo il pensiero dello scrittore Edward Said.

Così, per ogni persona riconosciuta e rapita da questo primo volume, accade il tempo in cui la coscienza accoglie una lettura altra della Storia, alterata da una memoria che selezionando, spesso, mortifica e tradisce, recuperando, invece, l’arte di mandare a memoria che in arabo è il richiamo al cuore. Le persone esposte le une alle altre, attraverso e oltre le identità e le culture, riscoprono una filiazione, una appartenenza naturale, rizomatica, come è ben illustrato all’origine del pensiero nomade di Rosy Braidotti (3). Infatti, il rizoma è la radice multipla di una pianta che permette il superamento delle condizioni climatiche sfavorevoli rigenerandosi, come può accadere ad ogni persona in cammino. Il rizoma apre a storie differenti e ci aiuta nella dialogica interculturale con l’estraneità riferita, soprattutto, alle parti che giudichiamo differenti e strane di noi stesse.

I versi della poeta di origini libanese Joumana Haddad donano la possibilità di partecipare al suo cammino esistenziale e di riflettersi nella differenza. Come ogni Ninfa, Joumana è guardiana e depositaria di una sapienza che tende l’arco, che tende lo sguardo doppio, osservando e contemplando. Perseguiamo un apprendimento che dalla possessione erotica, manía erotiké, accompagna verso un rito purificatorio, katharmós, e verso un sapere precedente.

“Sono Lilith, … Talmente pudica da nascondermi in parole oscene. / Tanto insolente da arrossire gridando il mio fuoco.”

“… Donna libera, donna in catene, / donna libera persino dalla libertà, …”

“Credono che la mia libertà sia loro proprietà/ e io/ glielo lascio credere/ e avvengo”

(J.Haddad)

 

Riferimenti bibliografici

  • Roberto Calasso, La follia che viene dalle Ninfe, Adelphi, 2005
  • Czesław Miłosz, La testimonianza della poesia, Adelphi, 2013
  • Rosi Braidotti, Soggetto nomade, Donzelli, 1995
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