totomiseria15

Psicologia del web

totomiseria15

Ritengo fondamentale che ogni attività commerciale, ogni professionista abbia la sua finestra sul web. Mi convince la formula del corporate magazine, cioè, una rivista aziendale che rimanda a immagini e a scritture, anche minime, di contenuti e di qualità.

Obiettivo è: mantenere con i clienti esterni relazioni possibili, avviare storie, costruire un network, una rete di persone intorno all’impresa. Gli esperti del settore parlano di content marketing.

Dopo l’analisi da parte dello psicologo aziendale, risultano adeguati e congruenti le immagini, i contenuti, i modelli, le forme del web, i linguaggi. Ogni luogo, anche virtuale, assomiglia alla persona che ne conserva la titolarietà e, un po’ per volta, anche ai suoi ospiti. Tutti partecipano alla creazione di quella che il dialetto barese riconosce come l’aria della masseria, cioè, gli odori, gli umori, i sapori, i colori, i suoni, le forme che, caratterizzando un posto, ne creano la cultura, il carattere materno. Infatti, c’è un carattere di ogni azienda/professione da riscoprire e che diviene cultura da trasmettere.

Il sito, il blog, la pagina facebook sono case virtuali e creano situazioni dove accogliere potenziali clienti e clienti fidelizzati per offrire consulenza rispetto ad un prodotto/servizio. E’ possibile ripensare la fedeltà ad un brand, ad un servizio, con l’appartenenza ad una gruppalità che condivide modi di intendere la vita, i gusti,  i desideri, i godimenti rispetto all’oggetto o al servizio offerto. La fidelizzazione non prevede più l’omologazione come un must, l’abitudine obsoleta, l’adattamento alla massa, ma la responsabilità condivisa, l’interesse e il vantaggio alla pari di chi propone e di chi acquista.

Il copiaeincolla demenziale e il mipiace superficiale vengono sostituiti dalla scelta pensata e individuante. Condivido non una frase di un autore, citando a caso, senza il contesto, ma il pensiero, le azioni compiute.

Un esempio. Considero Un uomo, il romanzo per antonomasia nel mio percorso di lettrice donna. Però, scelgo di non citare Oriana Fallaci, copiando frasi fuori dal contesto narrativo, non condividendo la visione esistenziale complessiva, la Weltanschauung dell’autrice. E’ il tempo di governare le citazioni senza abusare dei testi. L’importante non è citare, ma elaborare e metabolizzare un pensiero usando come strumento e non come fine, la citazione.

La vendita si trasforma in processo di consulenza e non è più un’azione coatta per la sopravvivenza dell’attività commerciale. Il cliente è informato, coinvolto, incuriosito e accompagnato a capire di più. Il nuovo processo di vendita non propone di mollare qualcosa a qualcuno nel più breve tempo possibile, con modi più o meno seduttivi, ma propone di incontrare persone offrendo una consulenza gentile, appassionata e competente, entrando in una relazione che ciascuno sceglie con libertà e autorità.

Quotidianamente o settimanalmente, attraverso la pagina web, si propone agli interlocutori uno scambio, una circolarità di informazioni, una novità, una conoscenza, onde coinvolgerli in una storia da scrivere insieme.

Il sito non è una trovata, una triste protesi, ma diviene strumento del sapere e di una cultura lievitante in un gruppo sempre più allargato.

Editing: Enza Chirico

marthia

Versi e camminamenti. Coscienza e conoscenza di sé attraverso la poesia

Premessa

Il lavoro proposto si ispira alle ricerche sull’arte poetica e sulla narrativa come cura del sé, attraverso l’espressione e l’azione di testi poetici e letterari.

Il cervello preferisce la poesia: all’Università di Exeter, Adam Zeman con il suo gruppo di lavoro scopre che durante la lettura o l’ascolto di poesia si attivano non solo le aree cerebrali tipiche della lettura, ma anche le stesse che si accendono quando si ascolta la musica e che sono responsabili del classico “brivido lungo la schiena”. La poesia attiva la corteccia cingolata posteriore e il lobo temporale mediale, legate all’introspezione.

Al genere umano è concessa una base poetica della mente la quale propone il suo linguaggio attraverso l’immaginazione.

Condivido il pensiero di Sarah Zuhra Lukanić, poeta croata  della Compagnia delle Poete:  “Probabilmente La Poesia salverà il mondo, ma gli ordinary people non hanno la fortuna dei poeti, bisogna indicar loro la strada. L’educatore alla diversità come ricchezza deve essere per forza un amante della poesia, se è anche un poeta è ancora meglio. Un’anima poetica sarebbe perfetta. Alcuni anni fa, un noto economista americano propose di assumere un artista per salvare l’impresa. Propongo di assumere un poeta educatore per salvare l’educazione”.

  • La Poesia è continuo farsi – poiein – reiterato a “allargato” nel ritmo, Dall’incontro con il teatro, essa stessa nella parola-canto dei rapsodi, poesia è dirsi e darsi maieutico, che ci espone all’altro, cercando, con l’altro il dir(si) in comune, la crepa nella diga, quello spiraglio, unico, preciso, da cui affacciarsi a sé, vedere finalmente balenare emozioni in moto, archetipiche e da sempre appartenenti all’uomo in quanto tale.
  • La Poesia è “procedere per sottrazione”, liberare la parola, quella sola, una, che si faccia, si affacci, che sia. Perché la parola è radice.
  • La parola prima del senso.
  • Il suono dei versi è una cicatrice omessa. È graffio che si mostra. È ustione e memoria di quella stessa ustione a rimandare a sé.
  • La Poesia è l’unica parola detta. È, ancora, il fiato nel corpo. I muscoli, i nervi, il sangue, nella voce. È il mio corpo tutto che si fa verso: “Ogni verbo è prima nei nostri muscoli, che nella nostra lingua”(Lello Voce).
  • La Poesia è, dunque, esperienza, l’esperire tutto umano che si ritrova, che ci ritrova e ci riconduce.

La poesia appare nell’essere. Anzi, come il filosofo afferma “il poetare pensante è, in verità, la topologia dell’essere”. I versi scritti appartengono a chi li ascolta, a chi li interpreta, non muoiono, se detti, perché sono pre-detti. Il poeta, allora, è medium, strumento, di discernimento, di speranza.

Intendo coltivare la speranza come analisi di realtà e capacità di desiderare.

La nebbia del mondo

Non raggiunge la luce dell’essere

Noi sopraggiungiamo troppo tardi per gli dei

E troppo presto per l’essere. Per questo

L’uomo è poesia già cominciata.

L’andare verso una stella, soltanto questo.

Pensare è trovarsi limitati ad un solo pensiero

Che un giorno si arresta nel cielo del mondo,

come una stella.

Martin Heidegger

Le ragioni

Nella poesia non c’è  il fascino delle parole, ma il tormento della struttura e della funzione di una sola parola, quella.  Cerchiamo nella poesia la parola che copre e svela universi, cerchiamo i versi che abbiamo smarrito, i versi che non sappiamo dire.

La poesia vive lasciandosi esistere, abbandonandosi hic et nunc, qui e ora, all’energia originaria, proponendosi come aspirazione senza fine.

La poesia è fino in fondo, è ancora…, è il pensiero che non finisce mai che può essere detto senza morire. Essa esprime l’esperienza con l’altro/a come atopia, non classificato, senza posto, senza discorso. L’altro/a, dopo essere diventato/a esistenza, diviene essenza. La poesia è il pensiero primordiale, un istinto primario, rappresenta ciò che possiamo chiamare l’anima pensante.

La poesia non è se non nel rendersi nota, esiste solo nell’evento dell’ascoltazione.

Dal punto, alla forma, all’immagine, dall’idea riconosciuta e mai conosciuta prima, alla forma reale, all’immagine storica. È l’impensabile che da sé diviene pensabile.

Le nuvole nel mare prendono origine da se stesse, sono ora ciò che non sono ancora mai state. Non resta che mettersi a servizio della poesia incondizionatamente. La poesia come forma di esperienza dell’originario depositata nella memoria. Il termine greco è mnemosyne, diverso da anamnesis che esprime il ricorso storico, il ricordo di ciò che è stato costruito.

“Soltanto la poesia – l’ho imparato terribilmente, lo so – la poesia sola può recuperare l’uomo, persino quando ogni occhio s’accorge, per l’accumularsi delle disgrazie, che la natura domina la ragione e che l’uomo è molto meno regolato dalla propria opera che non sia alla mercé dell’Elemento” (Giuseppe Ungaretti)

Attraverso la lettura della poesia si può generare se stessi nell’origine accudendo il vuoto dell’esperienza.

Ideale e reale, pubblico e privato, mistica e storia, Artemide celeste e Artemide terrestre: è questa la fatica e la bellezza della ricerca poetica. Ecco, in fondo, la poesia è niente, fatta di niente, a niente è dovuta, non serve a niente. L’incontro con il nulla non può essere progettato e inseguito, deve essere donato. La poesia è pura esistenza, è il Niente consapevole e sano, è l’oscurità che ha in sé la luce. Al contrario la nientificazione di Narciso è il non senso, il vuoto senza speranze, opaco.

L’obiettivo previsto è il passaggio dalla personalità autocentrica ad una personalità libera e autocentrata.

I camminamenti di poesia diventano tecniche di relazione attraverso numerose applicazioni:

  • la gestione del vuoto
  • il verso spezzato
  • la metrica interna che varia secondo l’animo e l’estro
  • la cancellazione di tutte le parole per arrivare alla scelta di quella parola
  • la fine del verso e l’inizio
  • la storia
  • il punto, la linea, l’immagine
  • l’ascoltazione come musica, gradualità di toni
  • la crisi del verso, la distruzione del verso per ricomporlo
  • la parola nuda, sola, essenziale, assoluta, intensa, incognita, scarna

 La Creazione, la Recitazione, l’Interpretazione e il Cambiamento sono i momenti che attraversano il gruppo di lavoro. Riconosco e utilizzo la poesia come strumento di ricerca, il suono come richiamo primordiale,  i versi come desiderio per avviare  l’indagine del profondo, la voce come guida per riconoscermi, il ritmo per scoprire le corporeità complesse verso linguaggi di comunità.

 “Lascia avvenire la bellezza. Tu, falla accadere. Tienila stretta tra i tuoi palmi, se ti bussa. Lascia la riva, rischia il mare aperto. Lascia avvenire la bellezza se ti invita. Perdono te. Perdono me finché è per tempo. Tu non sprecare un’altra goccia del tuo slancio. Sii cassa armonica, ora, amplifica il tuo passo, il corpo tutto che fa arco alle parole. Apriti e abbraccia, presta un varco perché accada. Scocca un tuo bacio, fatti fiore sulla bocca. Fiorisce e torna, la bellezza, che è sopita. Falla avvenire, che redima, che ci insegni. Lascia avvenire te, poi me, fammi avvenire: per tutto quello che verrà, ti benedico.” 

marthia carrozzo

Riferimenti bibliografici

  • Marthia Carrozzo, Di bellezza non si pecca eppure – Trilogia di idrusa,(con Pref. di Lello Voce),Ed. Kurumuny
  • Sara Stulle, La poesia è musica per la mente, in Mente e Cervello, N.108, dic.2013, p.23
  • Sarah Zuhra Lukanić, Solo la poesia potrà salvarci, in Lettera Internazionale, N.117, dic.2013, pp.36-37
  • H.M.Enzensberger,A.Berardinelli, Che noia la poesia, Einaudi, 2006
  • Mario Luzi, Vero e verso, Garzanti, 2002
  • Carotenuto A., Oltre la terapia psicologica, Bompiani, 2004

 

Ogni scritto divulgato può essere riprodotto liberamente. Non ci sono, in questo caso, diritti di autore. Il testo ha lo scopo di far conoscere il mio pensiero. Chi utilizza anche parzialmente il testo ha il dovere morale di citare la fonte, le autrici, il titolo.

 

 

 marthia      Marthia Carrozzo è poetessa e attrice.

 Nel 2004 collabora al Laboratorio sul Potere della Parola con Giovanni Lindo Ferretti;

Del 2007, la sua prima raccolta poetica, Utero di Luna (Besa), con prefazione di Alda Merini, che sin da subito, la segue nei suoi esordi poetici: «Qui le premesse sono eccellenti e ci aspettiamo che fiorisca la grande poesia».

Il passo successivo, Pelle alla Pelle, dimore di mare e solo sensi (LietoColle, 2009).

L’incontro con il teatro diviene in lei input per una ricerca poetica personale e incentrata sulla parola, sul ritmo, sulla necessità di dare corpo e respiro al verso da ripensare nella voce.

Continua ad approfondire le potenzialità della voce, formandosi all’Accademia del Doppiaggio, dove studia con Roberto Pedicini e Christian Iansante.

Scelta a rappresentare la Puglia per la poesia alla Biennale dei giovani artisti d’Europa e del Mediterraneo, Bjcem Skopje 2009.

Il suo ultimo ritratto in versi, “Di bellezza non si pecca eppure  – trilogia di Idruda” (kurumunny, 2012) , vanta la prefazione di Lello Voce.

Vincitrice della 19^ edizione del Premio Nazionale di Poesia Inedita “Ossi di Seppia” ( Arma di Taggia, 27 gennaio 2013)

Il 20 aprile 2013, è stata affidata a lei l’apertura del “Next – La Repubblica delle Idee” a Bari, Teatro Petruzzelli.

Dalla squadra allo stormo

Dalla squadra allo stormo: lettura ed evoluzione delle

dinamiche gruppali.

Tra partenza e ritorno

 

Siamo liberi di andare dove ci aggrada e di essere quelli che siamo
R.Bach,p.87

A  Michele,
che non ha mai amato questa ricerca ma, non amandola, l’ha capita benissimo

L’inizio: il brano che ispira

Non mi ero sbagliato. Sta succedendo qualcosa di enorme nel cielo, dentro quei piccoli cervelli di pochi grammi che attraversano lo spazio come frecce, in tutto quel brulicare di ali che scompigliano l’atmosfera. Le rondini si stanno preparando a migrare. In apparenza continuano a fare la loro solita vita. Volano all’impazzata, come sempre, lanciando grida. Solcano il cielo a becco spalancato per inghiottire badilate di insetti. Sbucano come sempre dai loro mille nidi invisibili, aerei, nelle grondaie arrugginite e bucate, nei fori tra le pietre e sui tetti sfondati di questo borgo fuori dal mondo di cui hanno preso possesso. Piombano a volo radente, come sempre, sul filo d’acqua delle vasche, rischiando di sfracellarsi sui loro spigoli di pietra, le rondini adulte e quelle altre nate da poco che stanno imparando i loro primi, piccoli e folli voli. Eppure, eppure… c’è una frenesia nuova, una concitazione nuova, un impazzimento più grande nel loro comportamento. Si incrociano in punti molto alti del cielo, stridono ancora più forte. Chissà che cosa si stanno dicendo? Chissà cosa sta succedendo tra quelle nuvole di corpicini in volo? Qual è la scintilla che ha dato inizio a tutto quanto? Come si creano le prime aggregazioni lassù nello spazio, nei primi voli sempre più gremiti che cominciano a ruotare su questi ruderi deserti che stanno per essere abbandonati, senza che forse neppure loro ancora lo sappiano? Scendono in picchiata sempre più numerose sopra le vasche, come se stessero facendo riserva d’acqua prima del lunghissimo viaggio verso chissà dove, sbucando dal voltone basso e dalla curva della strada come frecce e tuffandosi sul filo dell’acqua a becco spalancato, stridendo, sbattendo sulla sua superficie immobile con la punta delle loro lunghe ali impazzite. Chissà se lo sanno dove andranno? Se almeno qualcuna di loro lo sa e riesce a comunicarlo alle altre, oppure se si inventano il viaggio mentre sono già in viaggio, in quei primi cerchi sterminati pieni di miriadi di cervellini di pochi grammi che attraversano da ogni parte il cielo del mondo, così fitti che non si capisce come fanno a muovere là dentro tutte quelle ali?

Si fermano sempre più numerose sugli spigoli delle vecchie case diroccate, sui bordi dei tetti, su qualche vecchio filo rimasto. Poi si alzano di nuovo in volo. Sembra che stiano riprendendo la vita di tutti i giorni, sembra che niente sia cambiato, che non sia in vista nessuna partenza, che chissà per quale ragione sia stata rimandata, per qualche impercettibile modificazione della temperatura e della composizione dell’aria che solo loro hanno percepito immediatamente, vivendo così in alto, nel cielo. Sembrerebbe ancora presto per partire. È ancora estate. Invece, il giorno dopo, tutto questo incredibile impazzimento riprende. Si riformano nuovi stormi più grandi, ricominciano a volare sfrangiati nel cielo, per attirare a sé le altre rondini ancora isolate. Ma subito dopo si sciolgono di nuovo, in pochi istanti ognuna prende una direzione diversa. Però più in alto, ancora più in alto, si stanno riformando altri stormi. E poi altri ancora. Finché si vedono all’improvviso le prime grandi nuvole sterminate brulicanti di rondini urlanti che si lanciano verso quel folle viaggio di cui non conoscono neanche la meta.

Lo hanno capito prima di tutti gli altri, là in alto, che qualcosa sulla terra è cambiato, che sta succedendo qualcosa di enorme, che l’estate sta finendo, che fra un po’ il cielo e la terra non saranno più gli stessi, comincerà l’autunno, l’inverno.

Antonio Moresco, p.85-86-87

La realtà quotidiana

Si fa presto a dire gruppo: fare gruppo non è affatto garanzia di comunione, di effettiva condivisione prospettica e di cambiamento.

Il gruppo è strumento di comprensione, di valutazione e di azione rispetto ad una realtà.  Sempre più spesso, invece, <fare gruppo>, <entrare in un gruppo>, <parlarne in gruppo> pare sia il fine ultimo di molte persone. Perché?

Si fa presto a dire squadra: organizzare una squadra prevede che si debba combattere/scontrarsi e vincere/perdere contro gli avversari, prevede la convinzione di un <noi>, più forti e belli, e di un <loro> piccoli e brutti. Che senso ha?

Frequentemente il gruppo o la squadra sono la manifestazione di un individualismo allargato a quelli riconosciuti intimi: una forma di covile che si avvita in se stesso a tre, a cinque, a venti e che non prevede l’avvistamento fastidioso di volti diversi. Nega, per questo, il divertimento e il movimento. Di conseguenza, nella mia esperienza di formatrice, all’idea e alla realizzazione del gruppo/squadra, scelgo di approfondire la visione, il metodo e la tecnica dello stormo.

Intendo indagare alcune variabili dello stormo, come  gruppo compatto di uccelli o di insetti in volo in formazione ordinata.

Oltre i giochi psicologici di sopravvivenza

Si fa presto a dire squadra: seguendo la teoria dell’analisi transazionale, i giochi psicologici si manifestano come pratiche relazionali ripetitive e inconsapevoli. Modi rigidi e automatismi per avviare il vecchio disco in ogni occasione e svalutare definitivamente se stessi, gli altri, la vita. L’uscita copionale attraverso uno o più giochi diviene una modalità difensiva, un alibi per stare al mondo senz’aria, in asfissia permanente, un restringimento di visuale, un risultato perdente assicurato.

Nella modalità <a squadra>, nella quale si vince o si perde, è più facile ritrovarsi come in un luogo privilegiato per confermare vecchie credenze, rinforzare pregiudizi e riproporre sistemi di svalutazione.

Generalmente in un gruppo e in una squadra valgono le regole del potere.

Vince qualcuno a scapito di altri. Il vincitore è il primo. Il potere è di chi vince. Si vince o si perde. E’ indispensabile essere i primi per vincere. L’ansia da prestazione è naturale in una gara. C’è sempre bisogno di un leader.

In una squadra che vince bisogna: puntare l’obiettivo, fare deserto intorno a sé, confondere, distanziare l’avversario, mostrargli chi si è per attaccare, per difendersi, controllare e, infine,  conquistare.

Lo stormo, invece, nega il potere a favore dell’autorità, dei legami, della spontaneità naturale e diviene strumento per veicolare visioni di vita e antropologie comunitarie.

L’interesse non solo estetico per lo stormo suggerisce rivelazioni sul comportamento collettivo.

Gli uccelli non hanno alcuna cognizione della struttura globale del gruppo. Adam Smith parla di <mano invisibile> per descrivere il comportamento spontaneo e omogeneo di individui diversi che si coalizzano verso un fine comune. Fra persone che sono in relazione vale, come mano invisibile, la magia della noità, dell’esser noi. Cioè, la certezza che, assieme a quelle persone, abbia un senso parlare, pensare, ridecidere, ché si stanno costruendo ricordi, ché si è parte di una narrazione, ché per gemmazione si produrranno idee e azioni nuove, visioni che riguardano il vivere comune, scelte alle quali da soli non saremmo arrivati, critiche a comportamenti obsoleti incoraggiate dalle presenze affettive. La noità è dono per il gruppo perché questo ha risolto la relazione autoreferenziata, la relazione centrata sul prevalere dell’uno ed è diventata misura della molteplicità e delle intimità scomode e produttive.

Il fisico Giorgio Parisi ipotizza che la coesione sia il risultato di una regola topologica anziché numerica. L’idea è che ogni animale segua i movimenti di sette vicini e applichi i vincoli di distanza, anche se lo stormo è composto da pochi individui. Quindi, il valore cruciale non è tanto la vicinanza o la numerosità del gruppo, quanto la stabilità di un comportamento, che può essere riconosciuto sempre al variare degli altri paramentri.

La disponibilità in un gruppo, la decisione di partecipare, la certezza di non poter fare altro che esserci, non è legata al numero o alla qualità presunta dei presenti, ma è una scommessa sul proprio cambiamento. Il vincolo di distanza dichiara, ad ogni modo, che l’impegno, la tensione del pensare e dell’agire valgono a favore di tutti, a prescindere da chi è più o meno partecipe o presente.

Mores et consuetudines

In uno stormo l’insieme è differente dalla somma delle parti: l’incontro, quando non conferma il copione iniziale,  ci consente di andare diventando proprio all’interno della relazione che si svela. La regola di condotta generale dello stormo è che l’ esemplare di dietro segua quello davanti. Il sistema sembrerebbe estremamente gerarchico. «Eppure le gerarchie sono flessibili e il ruolo di ogni singolo uccello può variare in continuazione» spiega Dora Biro, ricercatrice dell’ università di Oxford. «Questo sistema intercambiabile di leader e subordinati, in cui anche i membri di gerarchia più bassa possono dire la loro e contribuire alle scelte, rappresenta un sistema molto efficiente per prendere le decisioni». Se il gruppo cambia direzione, chi si trovava defilato viene a trovarsi nella posizione di leader.  «Negli stormi molto grandi, che raggruppano fino a 10mila esemplari, qualunque sistema di leadership si dissolve» spiega Andrea Cavagna. Anche la regola del seguire chi si trova di fronte viene meno. Eppure i gruppi di uccelli riescono a dipingere nel cielo forme che mutano da un secondo all’ altro senza mai perdere compattezza, cambiare di posizione rispetto ai compagni o tanto meno scontrarsi. «Ogni storno – spiega il fisico romano – prende come riferimento una manciata di altri esemplari, in genere 6 o 7, non necessariamente vicini a lui. Gli basta muoversi all’ unisono con essi per diventare parte di un corpo unico. Quello che si crea è un sistema di controllo distribuito in cui basta seguire regole semplici per ottenere un movimento collettivo molto complesso». Tracciare un parallelo fra la società degli uomini e degli storni è un obiettivo che va al di là delle intenzioni dei ricercatori.

Ogni individuo può avere un mini ritardo e l’altro aspetta: è la pratica dell’attesa perché l’altro chiarisca a se stesso, ché arrivi con le sue gambe e con la sua testa, ché si muova per interesse, non per adattamento e omologazione. Il tempo non scade, ognuno ha i suoi tempi di apprendimento e il tempo giusto, il kairòs, è quello in cui ogni persona capisce e decide. Allora, l’adattarsi al mutamento di tempo e di direzione è esercizio della libertà personale all’interno di una comunità, in armonia con l’assieme. Ogni soggetto si sposta pur collegato in una sorta di distanza regolata a favore del procedere di tutti. L’attesa dell’altro è riduzione di sé, senza pretesa di ritorno, senza applauso, senza frustrazione, senza ricatto, senza riconoscimento e  ricompensa.

Tenersi d’occhio: vale negli stormi il sapere che l’altro esiste e il vegliare sulla sua presenza, naturaliter.  Dov’è tuo fratello? Sono io il custode di mio fratello, so sempre dov’è.

La presenza è benedizione, dono, grazia, non è solo strategia di produzione. Non esclude la possibilità di ricevere, lo scambio, il do ut des, la circolarità del dare/avere, ma lo integra: tutto è spostato da un livello economico, materiale, a un livello esistenziale, spirituale. Tenersi d’occhio, come darsi voce, è ritrovarsi in una categoria mentale differente: nell’esperire l’esistente essenziale, nudo, primario, reale.

Autorità di ognuno: nello stormo nessuno aspira a essere capo, a prevalere sugli altri. Le persone sono diverse, hanno diverso valore, ma pari dignità. Ognuno esiste per se stesso, nessuno dà all’altro il permesso/diritto ad esistere.

Divenire abili e liberi di abilità significa aver fatto i conti con gli ordini interiori copionali <sii perfetto!> e <spicciati!> L’importante è sapere di esistere nella comunità, non essere i più bravi o i più veloci.

La velocità è eccellenza ed è legata all’armonia, alla bellezza, quindi anche alla lentezza. Sì, una velocità lenta o una lentezza veloce, espressioni di una categoria della musicalità e non dell’efficienza/efficacia, cioè, il massimo, non meglio identificato, nel tempo più breve possibile. Pronto per quando? Ieri: è l’espressione ansiogena del lavoro moderno che ignora il desiderio e il godimento.

Farsi volare in tranquillità e gentilezza: è l’invito degli stormi a essere presenti tutti interi nella comunità che tutto contiene benevolmente, sorvegliando e custodendo come parte di sé l’elemento distonico, l’angolo “scurnuso” delle nostre vite, la parte fragile, sciancata, orgogliosa e dolce che ognuno di noi si porta dentro e che riconosce nell’altro.

La formazione dinamica dello stormo è, anche, la forma concreta dell’inversione di rotta: l’ora di tornare a casa. Chi parte ritrova il senso del viaggio nel pensiero del ritorno. Il ritorno offre lo sguardo globale ed unitario sulle molteplici esperienze. Tornare è l’unione che prevale sulla dispersione, il combaciare con se stessi che dà forma  e ragione alle fatiche e supera la lacerazione di ogni partenza. La nostalgia, in fondo, consente il ritorno, il racconto e il nuovo inizio.

Ah, ogni molo è una nostalgia di pietra
F. Pessoa, Ode marittima

 Ringrazio Rosalba Valenza per avermi fornito informazioni, immagini, spunti di riflessione, pezzi d’anima

 Editing: Enza Chirico

 Riferimenti bibliografici:

  • Antonio Moresco, La lucina, Libellule Mondadori, 2013
  • Simone Gozzano, Com’è stabile il mio stormo, Mente & Cervello, n.90/2012
  • Cavagna, I. Giardina, A. Orlandi et al., The STARFLAG handbook on collective animal behaviour. 2. Three-dimensional analysis, «Animal behaviour», 2008b, 76, 1, pp. 237-48.
  • Italo Calvino, Palomar, Mondadori, 1994
  • R.Bach, Il gabbiano Jonathan Livingston, BUR, 1973
  • Benedetta Cibrario, Lo Scurnuso, Feltrinelli, 2011

 

Ogni scritto divulgato può essere riprodotto liberamente. Non ci sono, in questo caso, diritti di autore. Il testo ha lo scopo di far conoscere il mio pensiero. Chi utilizza anche parzialmente il testo ha il dovere morale di citare la fonte, l’autrice, il titolo.