AT anno XII – n. 23
Communication Trainings in Organizations
The aim of the present study Is to review the consultant-organization relationship through the renovation of the logic categories of today’s training. The main suggestion is to use a clinical approach in the organizational analysis. This means:
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to train the organization through its workers and not to train its staff;
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to carry out an organizational diagnosis by using the consultant-organization relationship;
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to view the trainer as an analyst of the organizational culture and not just as a seller of training courses.
Consequently, the design of a training course on communication should take into account processes and dynamics, as well as contents and structures. Finally, the article presents the work done with the employees of a bank in Northern Italy.
La realtà considerata: error communis facit ius
Nella società odierna è da tutti compreso il ruolo della sartina e quello dello stilista. La differenza sottolineata non è tanto fra operatività e progettualità ma, soprattutto, fra adattamento e cambiamento. Indirizzando questa riflessione alle organizzazioni, l’osservazione che ne risulta è che esse non hanno bisogno di rattoppi casuali ma di capire ed eventualmente scegliere fra l’accomodamento del vecchio abito e l’acquisto di uno nuovo e di quale.
Al grido di “Comunicazione o morte” truppe di consulenti sono scese in campo seminando sospetti fra i partecipanti ai corsi di non aver mai in realtà comunicato e dispensando infauste premonizioni.
In questa prospettiva, è normale che lo stesso seminario sulla comunicazione sia stato proposto nell’istituto di credito, nell’azienda automobilistica e nel gruppo parrocchiale di qualsiasi regione italiana.
Spesso il consulente è dinanzi a richieste non ben definite dall’utente ma il suo primo impegno è proprio quello di comprendere, di fare una prima diagnosi e di proporre un contratto. Quindi, davanti ad una domanda generica da parte dell’organizzazione di un corso sulla comunicazione, in discussione non è tanto l’oggetto ma la motivazione e il fine, non la formazione in se stessa ma il perchè e il come.
L’obiettivo non è che la gente si voglia bene e che risolva i problemi di convivenza ma che l’organizzazione funzioni, tenendo conto che il successo di questa, passa anche attraverso il benessere dei dipendenti. Che ciascun partecipante impari a comunicare meglio può essere il fine di un gruppo di terapia ma il fine del lavoro nell’azienda è che quelle persone, in quell’ambiente capiscano e analizzino le modalità di comunicazione esistenti.
Ne consegue che la consapevolezza nella relazione con l’altro come dipendente, come capo, come collega può diventare anche consapevolezza come marito, fratello, amico ma questo è da considerarsi un punto di arrivo, non di partenza.
In sintesi la proposta è di utilizzare l’approccio clinico nell’analisi aziendale, non nel gruppo di lavoro con i dipendenti.
Berne ci dice che la credenza sottostante al gioco “Burrasca” è che se si fa abbastanza baccano non si dovranno risolvere i problemi e l’esperienza ci insegna che lo stesso risultato si può conseguire con il gioco contrario “Tutti D’accordo”, nel quale i partecipanti, in tal caso i formatori, si convincono che dove sbagliano tutti, nessuno sbaglia e che l’errore comune crea la legge.
C’è sempre un A contaminato dal B in azione, nel primo gioco con la ribellione, nel secondo con l’adattamento e il compiacimento.
L’indicazione è che gli analisti della cultura aziendale utilizzino oltre all’esperienza e agli insegnamenti acquisiti anche la capacità critica e di discernimento dinanzi all’una e agli altri.
Mintzberg ci ricorda che “se trattassimo tutte le organizzazioni allo stesso modo commetteremmo la stessa assurdità di un oculista che volesse prescrivere a tutti gli stessi occhiali”.
Obiettivi e presupposti
Obiettivo di questo studio è rivedere il rapporto consulenza – azienda rinnovando le categorie logiche della formazione odierna.
Quindi, occhio puntato su processi e dinamiche oltre che su contenuti e strutture. La domanda non è solo: a chi proporre o cosa proporre in un seminario sulla comunicazione, ma, prima di tutto:
cosa è la comunicazione in quella azienda? Perchè un corso sulla comunicazione piuttosto che uno sull’informatica e come proporlo in un determinato ambiente aziendale?
L’idea iniziale è che abitare il mondo significa, in realtà, abitare la descrizione che una data epoca dà di esso. Di conseguenza, i salariati non vivono nell’azienda ma nella rappresentazione di essa. La comunicazione è il mezzo privilegiato di tale rappresentazione, è lo strumento attraverso il quale si manifesta la cultura dell’azienda. Come Edgar Morin afferma: “La conoscenza scientifica del mondo è la conoscenza dello spirito nello specchio del mondo”.
In definitiva, in azienda ciò che conta non è solo riconoscere le capacità e l’esperienza di ciascun dipendente (questo è il fine di un intervento di selezione) ma è in che modo nella relazione di gruppo le caratteristiche di una persona si incontrano con quelle di un’altra e qual è il risultato della interazione di diverse personalità, giacché l’attività e l’intimità di un gruppo sono molto di più della somma dei suoi componenti. E’ una questione di corrispondenza emotiva e di valori e non solo di analisi descrittive.
La comunicazione, in fondo, è un problema di autostima. E se è vero che “si vive guardando sempre in avanti, ma il significato della vita lo si scopre guardando indietro” (Kierkegaard), allora, ogni intervento sulle problematiche di comunicazione prevede una diagnosi intersoggettiva che passa all’interno della relazione fra consulenza e organizzazione. L’unico modo in azienda per fare una diagnosi, infatti, è farla insieme ai dipendenti.
In questo modo la formazione è promossa dall’interno, non obbligata dall’esterno, è un bisogno riconosciuto e non la risposta che compiace un insistente venditore di corsi.
Il Minicopione nell’analisi organizzativa
Da parte di alcuni studiosi di psicanalisi (Schein, Kets de Vries, Miller) e di A.T. (Giuli, Chalvin, Wagner) c’è stato il tentativo di identificare attraverso questionari, colloqui, interviste, i disturbi della personalità/cultura dell’azienda e il suo quadrante esistenziale. Teoricamente il lavoro è interessante e lo sforzo proficuo:
per l’analista è vantaggioso lavorare con la certezza, pur sempre da verificare, che una determinata organizzazione possa posizionarsi in un preciso quadrante.
Ma nella complessa operatività quotidiana, in una realtà aziendale che continua a cambiare velocemente secondo un processo di rotazione e di rivoluzione, può diventare una forzatura o una percezione non corrispondente al vero riconoscere l’organizzazione necessariamente nei meccanismi di sopravvivenza di un determinato quadrante.
Inoltre, spesso, si confonde il quadrante esistenziale dell’azienda con la griglia di personalità del leader fondatore o del presidente in carica. L’organizzazione non è solo rappresentata dalla somma delle caratteristiche di personalità dei dirigenti ma essa ha un quid, un’anima che la rende unica ed autonoma.
Risulta più utile, allora, parlare di momenti evolutivi e, quindi, di minicopione.
La ripetizione del minicopione è un momento tipologico dell’A.T. applicata alle organizzazioni. Il disturbo, la difficoltà che queste presentano richiamano la parte negativa di esso.
Utilizzo il termine di cultura dell’azienda per indicare la personalità della stessa (Dagostino, 1991).
La griglia di cultura è, in fondo, una generalizzazione, un mezzo per avvicinarsi all’unicità di quella azienda. La teoria spiega la realtà, ma non è la realtà.
Esistono innumerevoli forme organizzative non da etichettare ma da capire e spiegare.
L’A.T. permette di accettare l’azienda e la lettura di se stessa che ci offre attraverso i suoi dipendenti per incontrarla là dove lei è.
Quando penso alla cultura di un’organizzazione, mi riferisco ad un quadrante fra Ordine, Stop e Gioco e parlo non di patologia ma solo di limite di copione. Quando, invece, parlo di stili nevrotici, seguendo alcuni autori citati, o di disfunzioni organizzative, penso ad un quadrante dove il Gioco termina spesso nella posizione più perdente e poi ritorna su all’Ordine. Non c’è solo la tendenza alla disfunzione ma c’è un precipitare spesso nel momento finale.
L’organizzazione sceglie dal suo ambiente permessi ed ingiunzioni che la proteggano quanto più è possibile. Nel minicopione positivo ci sono le linee di forza, le caratteristiche innate, le stesse doti che si ritrovano nel minicopione negativo, anche se distorte (Fig. 2, 3, 4: polo positivo e negativo).
Alcuni studiosi notano che mentre l’azienda va avanti e cresce, diminuiscono le sue problematiche, ciò significa che essa, come l’essere umano, tende ad uscire dal copione quotidianamente in evoluzione e in autonomia.
Quando un’organizzazione richiede l’intervento di un esperto esterno è probabile che essa stia attraversando una fase – + (Stop) o – – (Senza sbocco). In definitiva, un momento in cui scopre una valenza negativa sul proprio vissuto, altrimenti cercherebbe di risolvere le problematiche utilizzando risorse interne e guardandosi bene dal mostrare ad estranei i propri panni sporchi.
Un’altra possibilità, in verità, più rara dati i costi della consulenza esterna, è che, guidati dalla moda e dal momento di successo che la formazione, in generale, sta vivendo, si organizzino programmi e corsi con il solo scopo di apparire innovativi e moderni.
In questo caso, il lavoro del consulente è stimolare la motivazione e il bisogno dell’analisi, avvicinandosi alle persone in quella azienda con rispetto, curiosità e interesse a capire più che fretta di salvare o di guadagnare.
Spesso c’è ostentazione e ricerca di apprezzamento da parte dell’azienda che è in una fase + – (Gioco). Al malcapitato consulente pare non resti che compiacere e guadagnarsi la sua parcella o rischiare un repentino allontanamento nel caso in cui decida di confrontare l’organizzazione fortemente contaminata.
La terza opzione per l’analista è:
– accettare il copione aziendale con la sua benedizione e maledizione, sapendo che esso dà all’organizzazione la sicurezza di qualcosa di noto, è il suo primo apprendimento, anche se è inefficiente nel caso sia l’unico mezzo che essa ha a disposizione per andare avanti;
– proporre contratti per costruire, non per demolire. L’azienda non utilizza tempo e denaro perchè i suoi dipendenti si sentano sciocchi e inadeguati dinanzi a consulenti onnipotenti;
– permettere all’organizzazione di allargare la potenzialità del suo copione e non di rinforzarsi in esso. Uscire dal copione significa smettere di darsi ordini offrendosi altre modalità di riuscita e di successo.
I quadranti aziendali che presento e i termini che utilizzo tengono conto del lavoro di colleghi analisti transazionali impegnati nel campo clinico e di psicanalisti dell’organizzazione.
Le intuizioni sono supportate dall’esperienza e le ipotesi sono verificate attraverso il lavoro con le aziende che vado svolgendo.
La fig. 1 racchiude come in una girandola i minicopioni negativi delle tre tipologie organizzative. Il triangolo di contorno che delimita i tre minicopioni ha appositamente i vertici allargati, espressione del passaggio dalla posizione “ + + Se…” alla scala della vita. Infatti, l’ordine che diviene permesso è il primo gradino verso il successo e l’autonomia.
Mi limito in questo lavoro a delineare le caratteristiche di ciascun quadrante e a trattare, in particolare, i punti deboli e forti delle organizzazioni soltanto rispetto alle problematiche di comunicazione.
Nelle Fig. 2, 3, 4 e 5 sintetizzo le definizioni e i motivi dominanti di ciascuna tipologia organizzativa: tenera, introversa, forte e collaborativa. Gli schemi rappresentano l’inizio di una ricerca che ha ancora bisogno di studio e di approfondimento.
Fig. 2
ORGANIZZAZIONE TENERA CENESTETICA -+ (A.T. e P.N.L.)
CONFIGURAZIONE PROFESSIONALE ORIENTATA ALLA COMPETENZA E
CONFIGURAZIONE IDEOLOGICA ORIENTATA ALLA COOPERAZIONE
(Mintzberg)
COMPORTAMENTO NEVROTICO: DEPRESSIVO (Kets de Vries e Miller)
ORDINI (+ + se…): Compiaci, Metticela tutta
INGIUNZIONI (-+): Non pensare, Non fidarti, Non arrabbiarti
GIOCHI (+-): Tutta colpa mia, Pigliami a calci, Stupida, Si.. ma, Cerco solo di aiutare, Non posso farcela
FINALE (–): Inadeguatezza, colpa
Rispetto alle problematiche di comunicazione tale tipo di organizzazione presenta nei primi incontri i segnali in seguito citati. Ciò significa che, a prescindere dalla personalità di ciascun partecipante, i dipendenti manifestano un particolare tipo di cultura aziendale, in questo caso tenera cenestetica.
il gruppo:
– Dichiara e mostra sofferenza per i conflitti interni
– Manifesta poca decisionalità
– Dichiara di essere disponibile al confronto
– E’ preoccupato di farsi accettare dagli altri (docenti, pubblico, ecc.)
– Accetta regole e cambiamenti imposti
– Esprime familiarità e cordialità
– Predilige la consultazione
– Manca di un leader
La comunicazione, in generale, è scarsa, deformata, filtrata attraverso pettegolezzi, diciture, impressioni.
Fig. 3
ORGANIZZAZIONE INTROVERSA UDITIVA — (A.T. e P.N.L.)
CONFIGURAZIONE DIVERSIFICATA ORIENTATA ALLA CONCENTRAZIONE E CONFIGURAZIONE INNOVATIVA ORIENTATA ALL’APPRENDIMENTO
(Mintzberg)
COMPORTAMENTO NEVROTICO: SCHIZOIDE (Kets de Vries e Miller)
ORDINI (+ + se…): Sii forte, Metticela tutta
INGIUNZIONI (- +): Non fidarti, Non esistere, Non sentire
GIOCHI (+ -): Prova a tirarmi, Gamba di legno
FINALE (–): Disperazione
Il gruppo:
– Manifesta disinteresse
– Esprime estrema razionalità
– E’ dispersivo
– Mostra diffidenza
– Non accetta cambiamenti imposti
– Evidenzia disordine nella gerarchia (tutti fanno tutto)
La comunicazione verbale è quasi inesistente.
Fig. 4
ORGANIZZAZIONE FORTE VISIVA + – (AT. E P.N.L.)
CONFIGURAZIONE BUROCRATICA ORIENTATA ALL’EFFICIENZA E CONFIGURAZIONE POLITICA ORIENTATA ALLA COMPETIZIONE
(Mintzberg)
COMPORTAMENTO NEVROTICO: PARANOIDE, OSSESSIVO, ISTERICO (Kets de Vries e Miller)
ORDINI (+ + se…): Sii forte, Sii perfetta, Compiaci, Metticela tutta, Spicciati
INGIUNZIONI (- +): Non fidarti, Non godere, Non sentire
GIOCHI (+-): T’ho beccato, Tutta colpa tua, Biasimo, Occupatissima
MOMENTO FINALE (—) : Abbandono, solitudine
Il gruppo:
– Apparentemente non mostra conflitti
– E’ impegnato nella ricerca del responsabile
– Applica soluzioni tradizionali
– Svolge soprattutto attività di controllo
– Manifesta poca disponibilità al confronto
– Ha tendenza a negare i problemi
– E’ competitivo
– Ha al suo interno molti livelli gerarchici con accentramento di compiti
– Assume rischi eccessivi
La comunicazione è in prevalenza rigida e formale.
Fig. 5
ORGANIZZAZIONE COLLABORATIVA + + SE… (A.T.)
CONFIGURAZIONE IMPRENDITORIALE ORIENTATA ALLA DIREZIONE DI MARCIA (Mintzberg)
PRINCIPALI CARATTERISTICHE DI TALE FORMA ORGANIZZATIVA SONO: L’INTUITO, LA COLLABORAZIONE, LA DISPONIBILITA’, IL SENSO DELLA MISSION, LA STRUTTURA SEMPLICE E LINEARE.
C’E’ IN TALI AZIENDE IL PERICOLO DI TENDENZE ACCENTRATRICI E DI SQUILIBRI A LIVELLO STRATEGICO E OPERATIVO.
LA COMUNICAZIONE E’ INFORMALE, FLESSIBILE, CHIARA.
IL RISCHIO E’ LA RECITA AMBIZIOSA DELLA REALTA’.
Le scelte per l’analista della cultura non sono sempre conseguenziali. Per determinati ambienti o situazioni la scelta del corso giusto non è fra A, B o C. Le analisi descrittive sono utili per comprendere il problema, non per risolverlo. La soluzione è tanto più vera e valida se è il gruppo stesso a trovarla, la stessa azienda al suo interno. Il corso si costruisce insieme ai partecipanti anche se il consulente entrando in aula ha già un’idea di come aiuterà quelle persone ad aiutarsi in quella azienda.
Presentazione di un caso
Il lavoro che ho svolto presso un istituto di credito rende difficile l’applicazione sic et simpliciter della teoria enunciata.
La fig. 6 rappresenta la griglia di cultura della banca che continuo a verificare incontrando i suoi dipendenti. L’analisi effettuata tiene conto contemporaneamente di 4 variabili:
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il copione della banca italiana, in generale;
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il copione di ciascun dipendente della banca considerata;
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il copione dell’istituto di credito esaminato;
-
il mio copione.
Dal primo incontro ho valutato la problematica dell’azienda e le sue possibilità di sopravvivenza. Ho fatto la prima diagnosi per intuito, consapevole che l’unica vera diagnosi poteva farla il cliente che, però, nei primi tempi, non mi ha affatto aiutata. Mi sono resa conto del pericolo di rottura dell’azienda, in tal caso, il suicidio. Infatti, la banca popolare presa in considerazione è un’azienda locale di 500 dipendenti che da alcuni anni vive nella minaccia di essere assorbita da un istituto di più grandi dimensioni.
Ho accettato la richiesta di un corso sulla comunicazione – era questo il problema che mi avevano presentato – sapendo che dietro la richiesta esterna c’era una richiesta non esplicita, profonda su cui avremmo, in seguito, lavorato.
Può sembrare un paradosso ma, collaborando con le organizzazioni, l’intervento è tanto più adeguato quanto meno l’esperto si affatica a risolvere il problema. Tra l’altro, i suggerimenti, gli aiuti, le interpretazioni talvolta sono proiezioni identificatorie ma sempre tolgono potere al cliente. Misuro l’utilità del mio aiuto nei cambiamenti che riesco a non fare e nelle idee, anche se illuminanti, che riesco a non dichiarare; nei mutamenti anche minimi che permetto alle persone di fare e nei pensieri che permetto loro di esprimere.
Credo che la comunicazione sana offra la possibilità di valorizzare le persone più che di gestirle.
Ho pensato all’inizio del nostro rapporto che il cliente avesse diritto a rimanere confuso intuendo che la sua confusione era, forse, rabbia negata. Arrivare al contratto in questa organizzazione significa accettarla con la difficoltà dichiarata e formulare attraverso una chiarificazione un contratto per arrivare ad una destinazione chiara e utile sia al formatore che all’azienda.
Fig.6
GRIGLIA Dl CULTURA DELLA BANCA POPOLARE
LINEE DI FORZA: interesse e attenzione per l’altro (pubblico, collega), fantasia, empatia, intuizione, capacità di esecuzione.
MECCANISMI DI DIFESA: adattamento, impotenza.
ORDINI: Sforzati, Compiaci, Sii perfetto.
INGIUNZIONI: Non esistere, Non pensare, Non farcela, Non sentire sentimenti spiacevoli, Non arrabbiarti, Non lamentarti.
GIOCHI: Si.. .ma, Gamba di legno.
RUOLO: V/P.
SENTIMENTO RICATTO: confusione.
TRANSAZIONI PREVALENII: B-B; G-B.
CONTAMINAZIONE: Dal G.
BISOGNI MANIFESTI: Stima, protezione.
COPIONE: Quasi, Dopo.
USCITA DI FUGA: Comportamenti passivo-aggressivo.
Non ho proposto un contratto dal G giacché per questa banca avrebbe significato mantenersi nel copione e continuare a strutturarsi in esso e ho accettato che continuasse i suoi giochi pensando come Muriel James che il gioco talvolta non è uno sbaglio ma una strada più lunga per arrivare a qualcosa.
I dipendenti ditale organizzazione sono ottimi ascoltatori, perciò ho scelto di non esagerare con le lezioni.
L’azienda tenera è in una posizione che permette al consulente di aiutarla, il rischio è che la cura, ossia la formazione, non finisca mai. Inoltre, questa banca sembra essere tenera, in realtà, non fa mai quello che qualcun altro vuole.
Compiacendo dimostra che l’estraneo, l’esperto ha torto. Fa una richiesta e quando gli viene concessa afferma di non averne avuto bisogno. Insomma manifesta un disturbo passivo – aggressivo.
Durante i 5 giorni di corso sulla comunicazione le mie proposte di lavoro correvano sul filo Sentire – Pensare – Agire.
Con varie esercitazioni (questionari autovalutativi, lavori di gruppo, lezioni autogestite, disegni, rappresentazioni) ho dato spazio alla capacità di realizzazione del gruppo utilizzando la sua intelligenza intuitivo analogica. Questo ha permesso ai partecipanti di astrarre i significati riportandoli alla realtà aziendale, di tirare le conclusioni, di evidenziare i punti chiave, di riassumere i contenuti, insomma di apprendere in maniera autonoma e di riconoscere le grandi potenzialità del gruppo. I tempi nel lavoro con le aziende sono molto allungati e gli interventi molto diluiti rispetto alla terapia con il singolo paziente. La situazione che con il paziente si realizza nella prima visita, nell’organizzazione, generalmente, si realizza nel primo anno di lavoro.
Dopo quattro mesi dalla fine dei miei corsi, il direttore del personale, il direttore della formazione ed io ci rincontreremo…
Ciò che sappiamo è che partiremo dalla consapevolezza di aver comunicato, espressa nel nostro ultimo saluto: “E’ stato un piacere trattare con lei. Ci siamo capiti”.
Conclusioni
In questo mio studio sono partita dalla teoria, dal copione e minicopione aziendale poi sono passata al confronto con la realtà. Alla realtà non è possibile mettere un punto perchè continua a raccontarsi. Non parto mai dall’esperienza concreta per ritrovarla e rinchiuderla nella teoria. Confondere la teoria con la realtà, la tipologia con l’azienda è come confondere le briciole di pane di Pollicino con la strada. Le aziende sono la strada, l’obiettivo; invece, le teorie, le griglie sono le briciole, lo strumento per ritrovarle.
Per gli studiosi di analisi organizzativa un leader con comportamento nevrotico è uguale e dà sempre origine ad una organizzazione nevrotica.
Io credo, invece, che la nevrosi del dirigente interessi il suo terapeuta, la nevrosi dell’azienda interessi l’analista della cultura. Ho incontrato gruppi di persone sane che vivevano in un’organizzazione nevrotica.
Per questo non parlo di formazione del personale ma unicamente di formazione dell’azienda attraverso i dipendenti. Essi non chiedono analisi personali, forse non ne hanno bisogno ed io non sono un terapeuta clinico: è una questione di ottica, di filosofia, di chiarezza contrattuale e non semplicemente un’incomprensione linguistica.
Credo sia proprio questo l’errore a cui Mintzberg si riferisce quando scrive:
“L’esperto è una persona che riesce ad evitare tutti i trabocchetti e marcia diritto verso il grande errore”.
Ho scoperto che quando il consulente smette di parlare, i partecipanti iniziano a comunicare e a pensare, quando l’uno smette di fare, gli altri incominciano ad operare e a cambiare seguendo un processo autonomo e naturale. E’ straordinario scoprire quanta gente in gamba lavora nelle nostre aziende, se solo le si dà la possibilità di pensare!
Bibliografia
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RÒMANINI M.T., BONAGURA I., PROIETTI N., SERGI M.G., TORTI P., “Disturbi di personalità o copioni non vincenti e perdenti?”, Atti Congr. It. di A. T., 1991.
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