Dalla squadra allo stormo: lettura ed evoluzione delle
dinamiche gruppali.
Tra partenza e ritorno
Siamo liberi di andare dove ci aggrada e di essere quelli che siamo
R.Bach,p.87
A Michele,
che non ha mai amato questa ricerca ma, non amandola, l’ha capita benissimo
L’inizio: il brano che ispira
Non mi ero sbagliato. Sta succedendo qualcosa di enorme nel cielo, dentro quei piccoli cervelli di pochi grammi che attraversano lo spazio come frecce, in tutto quel brulicare di ali che scompigliano l’atmosfera. Le rondini si stanno preparando a migrare. In apparenza continuano a fare la loro solita vita. Volano all’impazzata, come sempre, lanciando grida. Solcano il cielo a becco spalancato per inghiottire badilate di insetti. Sbucano come sempre dai loro mille nidi invisibili, aerei, nelle grondaie arrugginite e bucate, nei fori tra le pietre e sui tetti sfondati di questo borgo fuori dal mondo di cui hanno preso possesso. Piombano a volo radente, come sempre, sul filo d’acqua delle vasche, rischiando di sfracellarsi sui loro spigoli di pietra, le rondini adulte e quelle altre nate da poco che stanno imparando i loro primi, piccoli e folli voli. Eppure, eppure… c’è una frenesia nuova, una concitazione nuova, un impazzimento più grande nel loro comportamento. Si incrociano in punti molto alti del cielo, stridono ancora più forte. Chissà che cosa si stanno dicendo? Chissà cosa sta succedendo tra quelle nuvole di corpicini in volo? Qual è la scintilla che ha dato inizio a tutto quanto? Come si creano le prime aggregazioni lassù nello spazio, nei primi voli sempre più gremiti che cominciano a ruotare su questi ruderi deserti che stanno per essere abbandonati, senza che forse neppure loro ancora lo sappiano? Scendono in picchiata sempre più numerose sopra le vasche, come se stessero facendo riserva d’acqua prima del lunghissimo viaggio verso chissà dove, sbucando dal voltone basso e dalla curva della strada come frecce e tuffandosi sul filo dell’acqua a becco spalancato, stridendo, sbattendo sulla sua superficie immobile con la punta delle loro lunghe ali impazzite. Chissà se lo sanno dove andranno? Se almeno qualcuna di loro lo sa e riesce a comunicarlo alle altre, oppure se si inventano il viaggio mentre sono già in viaggio, in quei primi cerchi sterminati pieni di miriadi di cervellini di pochi grammi che attraversano da ogni parte il cielo del mondo, così fitti che non si capisce come fanno a muovere là dentro tutte quelle ali?
Si fermano sempre più numerose sugli spigoli delle vecchie case diroccate, sui bordi dei tetti, su qualche vecchio filo rimasto. Poi si alzano di nuovo in volo. Sembra che stiano riprendendo la vita di tutti i giorni, sembra che niente sia cambiato, che non sia in vista nessuna partenza, che chissà per quale ragione sia stata rimandata, per qualche impercettibile modificazione della temperatura e della composizione dell’aria che solo loro hanno percepito immediatamente, vivendo così in alto, nel cielo. Sembrerebbe ancora presto per partire. È ancora estate. Invece, il giorno dopo, tutto questo incredibile impazzimento riprende. Si riformano nuovi stormi più grandi, ricominciano a volare sfrangiati nel cielo, per attirare a sé le altre rondini ancora isolate. Ma subito dopo si sciolgono di nuovo, in pochi istanti ognuna prende una direzione diversa. Però più in alto, ancora più in alto, si stanno riformando altri stormi. E poi altri ancora. Finché si vedono all’improvviso le prime grandi nuvole sterminate brulicanti di rondini urlanti che si lanciano verso quel folle viaggio di cui non conoscono neanche la meta.
Lo hanno capito prima di tutti gli altri, là in alto, che qualcosa sulla terra è cambiato, che sta succedendo qualcosa di enorme, che l’estate sta finendo, che fra un po’ il cielo e la terra non saranno più gli stessi, comincerà l’autunno, l’inverno.
Antonio Moresco, p.85-86-87
La realtà quotidiana
Si fa presto a dire gruppo: fare gruppo non è affatto garanzia di comunione, di effettiva condivisione prospettica e di cambiamento.
Il gruppo è strumento di comprensione, di valutazione e di azione rispetto ad una realtà. Sempre più spesso, invece, <fare gruppo>, <entrare in un gruppo>, <parlarne in gruppo> pare sia il fine ultimo di molte persone. Perché?
Si fa presto a dire squadra: organizzare una squadra prevede che si debba combattere/scontrarsi e vincere/perdere contro gli avversari, prevede la convinzione di un <noi>, più forti e belli, e di un <loro> piccoli e brutti. Che senso ha?
Frequentemente il gruppo o la squadra sono la manifestazione di un individualismo allargato a quelli riconosciuti intimi: una forma di covile che si avvita in se stesso a tre, a cinque, a venti e che non prevede l’avvistamento fastidioso di volti diversi. Nega, per questo, il divertimento e il movimento. Di conseguenza, nella mia esperienza di formatrice, all’idea e alla realizzazione del gruppo/squadra, scelgo di approfondire la visione, il metodo e la tecnica dello stormo.
Intendo indagare alcune variabili dello stormo, come gruppo compatto di uccelli o di insetti in volo in formazione ordinata.
Oltre i giochi psicologici di sopravvivenza
Si fa presto a dire squadra: seguendo la teoria dell’analisi transazionale, i giochi psicologici si manifestano come pratiche relazionali ripetitive e inconsapevoli. Modi rigidi e automatismi per avviare il vecchio disco in ogni occasione e svalutare definitivamente se stessi, gli altri, la vita. L’uscita copionale attraverso uno o più giochi diviene una modalità difensiva, un alibi per stare al mondo senz’aria, in asfissia permanente, un restringimento di visuale, un risultato perdente assicurato.
Nella modalità <a squadra>, nella quale si vince o si perde, è più facile ritrovarsi come in un luogo privilegiato per confermare vecchie credenze, rinforzare pregiudizi e riproporre sistemi di svalutazione.
Generalmente in un gruppo e in una squadra valgono le regole del potere.
Vince qualcuno a scapito di altri. Il vincitore è il primo. Il potere è di chi vince. Si vince o si perde. E’ indispensabile essere i primi per vincere. L’ansia da prestazione è naturale in una gara. C’è sempre bisogno di un leader.
In una squadra che vince bisogna: puntare l’obiettivo, fare deserto intorno a sé, confondere, distanziare l’avversario, mostrargli chi si è per attaccare, per difendersi, controllare e, infine, conquistare.
Lo stormo, invece, nega il potere a favore dell’autorità, dei legami, della spontaneità naturale e diviene strumento per veicolare visioni di vita e antropologie comunitarie.
L’interesse non solo estetico per lo stormo suggerisce rivelazioni sul comportamento collettivo.
Gli uccelli non hanno alcuna cognizione della struttura globale del gruppo. Adam Smith parla di <mano invisibile> per descrivere il comportamento spontaneo e omogeneo di individui diversi che si coalizzano verso un fine comune. Fra persone che sono in relazione vale, come mano invisibile, la magia della noità, dell’esser noi. Cioè, la certezza che, assieme a quelle persone, abbia un senso parlare, pensare, ridecidere, ché si stanno costruendo ricordi, ché si è parte di una narrazione, ché per gemmazione si produrranno idee e azioni nuove, visioni che riguardano il vivere comune, scelte alle quali da soli non saremmo arrivati, critiche a comportamenti obsoleti incoraggiate dalle presenze affettive. La noità è dono per il gruppo perché questo ha risolto la relazione autoreferenziata, la relazione centrata sul prevalere dell’uno ed è diventata misura della molteplicità e delle intimità scomode e produttive.
Il fisico Giorgio Parisi ipotizza che la coesione sia il risultato di una regola topologica anziché numerica. L’idea è che ogni animale segua i movimenti di sette vicini e applichi i vincoli di distanza, anche se lo stormo è composto da pochi individui. Quindi, il valore cruciale non è tanto la vicinanza o la numerosità del gruppo, quanto la stabilità di un comportamento, che può essere riconosciuto sempre al variare degli altri paramentri.
La disponibilità in un gruppo, la decisione di partecipare, la certezza di non poter fare altro che esserci, non è legata al numero o alla qualità presunta dei presenti, ma è una scommessa sul proprio cambiamento. Il vincolo di distanza dichiara, ad ogni modo, che l’impegno, la tensione del pensare e dell’agire valgono a favore di tutti, a prescindere da chi è più o meno partecipe o presente.
Mores et consuetudines
In uno stormo l’insieme è differente dalla somma delle parti: l’incontro, quando non conferma il copione iniziale, ci consente di andare diventando proprio all’interno della relazione che si svela. La regola di condotta generale dello stormo è che l’ esemplare di dietro segua quello davanti. Il sistema sembrerebbe estremamente gerarchico. «Eppure le gerarchie sono flessibili e il ruolo di ogni singolo uccello può variare in continuazione» spiega Dora Biro, ricercatrice dell’ università di Oxford. «Questo sistema intercambiabile di leader e subordinati, in cui anche i membri di gerarchia più bassa possono dire la loro e contribuire alle scelte, rappresenta un sistema molto efficiente per prendere le decisioni». Se il gruppo cambia direzione, chi si trovava defilato viene a trovarsi nella posizione di leader. «Negli stormi molto grandi, che raggruppano fino a 10mila esemplari, qualunque sistema di leadership si dissolve» spiega Andrea Cavagna. Anche la regola del seguire chi si trova di fronte viene meno. Eppure i gruppi di uccelli riescono a dipingere nel cielo forme che mutano da un secondo all’ altro senza mai perdere compattezza, cambiare di posizione rispetto ai compagni o tanto meno scontrarsi. «Ogni storno – spiega il fisico romano – prende come riferimento una manciata di altri esemplari, in genere 6 o 7, non necessariamente vicini a lui. Gli basta muoversi all’ unisono con essi per diventare parte di un corpo unico. Quello che si crea è un sistema di controllo distribuito in cui basta seguire regole semplici per ottenere un movimento collettivo molto complesso». Tracciare un parallelo fra la società degli uomini e degli storni è un obiettivo che va al di là delle intenzioni dei ricercatori.
Ogni individuo può avere un mini ritardo e l’altro aspetta: è la pratica dell’attesa perché l’altro chiarisca a se stesso, ché arrivi con le sue gambe e con la sua testa, ché si muova per interesse, non per adattamento e omologazione. Il tempo non scade, ognuno ha i suoi tempi di apprendimento e il tempo giusto, il kairòs, è quello in cui ogni persona capisce e decide. Allora, l’adattarsi al mutamento di tempo e di direzione è esercizio della libertà personale all’interno di una comunità, in armonia con l’assieme. Ogni soggetto si sposta pur collegato in una sorta di distanza regolata a favore del procedere di tutti. L’attesa dell’altro è riduzione di sé, senza pretesa di ritorno, senza applauso, senza frustrazione, senza ricatto, senza riconoscimento e ricompensa.
Tenersi d’occhio: vale negli stormi il sapere che l’altro esiste e il vegliare sulla sua presenza, naturaliter. Dov’è tuo fratello? Sono io il custode di mio fratello, so sempre dov’è.
La presenza è benedizione, dono, grazia, non è solo strategia di produzione. Non esclude la possibilità di ricevere, lo scambio, il do ut des, la circolarità del dare/avere, ma lo integra: tutto è spostato da un livello economico, materiale, a un livello esistenziale, spirituale. Tenersi d’occhio, come darsi voce, è ritrovarsi in una categoria mentale differente: nell’esperire l’esistente essenziale, nudo, primario, reale.
Autorità di ognuno: nello stormo nessuno aspira a essere capo, a prevalere sugli altri. Le persone sono diverse, hanno diverso valore, ma pari dignità. Ognuno esiste per se stesso, nessuno dà all’altro il permesso/diritto ad esistere.
Divenire abili e liberi di abilità significa aver fatto i conti con gli ordini interiori copionali <sii perfetto!> e <spicciati!> L’importante è sapere di esistere nella comunità, non essere i più bravi o i più veloci.
La velocità è eccellenza ed è legata all’armonia, alla bellezza, quindi anche alla lentezza. Sì, una velocità lenta o una lentezza veloce, espressioni di una categoria della musicalità e non dell’efficienza/efficacia, cioè, il massimo, non meglio identificato, nel tempo più breve possibile. Pronto per quando? Ieri: è l’espressione ansiogena del lavoro moderno che ignora il desiderio e il godimento.
Farsi volare in tranquillità e gentilezza: è l’invito degli stormi a essere presenti tutti interi nella comunità che tutto contiene benevolmente, sorvegliando e custodendo come parte di sé l’elemento distonico, l’angolo “scurnuso” delle nostre vite, la parte fragile, sciancata, orgogliosa e dolce che ognuno di noi si porta dentro e che riconosce nell’altro.
La formazione dinamica dello stormo è, anche, la forma concreta dell’inversione di rotta: l’ora di tornare a casa. Chi parte ritrova il senso del viaggio nel pensiero del ritorno. Il ritorno offre lo sguardo globale ed unitario sulle molteplici esperienze. Tornare è l’unione che prevale sulla dispersione, il combaciare con se stessi che dà forma e ragione alle fatiche e supera la lacerazione di ogni partenza. La nostalgia, in fondo, consente il ritorno, il racconto e il nuovo inizio.
Ah, ogni molo è una nostalgia di pietra
F. Pessoa, Ode marittima
Ringrazio Rosalba Valenza per avermi fornito informazioni, immagini, spunti di riflessione, pezzi d’anima
Editing: Enza Chirico
Riferimenti bibliografici:
- Antonio Moresco, La lucina, Libellule Mondadori, 2013
- Simone Gozzano, Com’è stabile il mio stormo, Mente & Cervello, n.90/2012
- Cavagna, I. Giardina, A. Orlandi et al., The STARFLAG handbook on collective animal behaviour. 2. Three-dimensional analysis, «Animal behaviour», 2008b, 76, 1, pp. 237-48.
- Italo Calvino, Palomar, Mondadori, 1994
- R.Bach, Il gabbiano Jonathan Livingston, BUR, 1973
- Benedetta Cibrario, Lo Scurnuso, Feltrinelli, 2011
Ogni scritto divulgato può essere riprodotto liberamente. Non ci sono, in questo caso, diritti di autore. Il testo ha lo scopo di far conoscere il mio pensiero. Chi utilizza anche parzialmente il testo ha il dovere morale di citare la fonte, l’autrice, il titolo.
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