La ianara

Destino di donna

Licia Giaquinto, La ianara, Adelphi, 2010

La ianara

 

La scrittura decisa ed evocativa, il linguaggio mistico e potente di Licia Giaquinto odora di magie segrete, di riti pagani e di destini incantati.
Nel secondo Novecento, fra i monti di una Irpinia arcaica, la ianara è una strega sapiente e protettiva, ma è anche una mammana rozza e pericolosa. Adelina, ianara come sua madre e sua nonna, è temuta e cercata, è scacciata e ritrovata.

“Adelina ha fatto solo quello che andava fatto. Ha seguito il filo del destino che si srotolava giorno dopo giorno come un piccolo gomitolo tenuto in mano da chi sa chi.” p.26

La ianara riproduce infinite volte la proiezione della parte oscura di sé che ogni persona emargina e che continua ad affiorare. La colpa, l’invidia, l’arroganza sono il male degli esclusi dalla felicità, dei vinti dalla storia, degli analfabeti emotivi e cognitivi. I cattivi e le cattive ignorano la libertà quotidiana di fecondarsi e di venire al mondo e manifestano il bisogno di offrire e di ricevere la cura con parole e azioni sgradevoli.

“Adelina era certa che non sarebbe diventata mai donna, che non sarebbe cresciuta. Perché aveva capito che diventare donna significava sangue.” p.60

La ianara è l’angelo malefico, perduto fra la confusione e la salvezza, ingannato dalla passione negata. Adelina esprime la sua energia anestetizzata per paura di non riuscire ad addomesticare l’amore, a contenere l’eccedenza della gioia, a legittimare la curiosità della conoscenza. Nel copione riscoperto c’è tutto, la maledizione e la benedizione, la metà marcia e la parte odorosa, l’appagamento della presenza e il vuoto della mancanza.

“E’ come se tra Dio e Satana ci fosse stato un patto all’inizio dei tempi: tante anime per l’uno e tante per l’altro, e il resto delle anime da conquistarsi giorno per giorno, minuto per minuto, come in una partita a scopa. Con l’angelo custode da un lato e il demonio dall’altro di ogni cristiano a litigare dalla mattina alla sera per portarlo di qua o di là, al bene o al male.” p.109

Negare, nascondere e respingere sostituiscono la capacità di godere, di comunicare, di ridere. Il desiderio tradito di conoscenza si trasforma in sortilegio, il pensiero oppresso diviene invidia che azzanna, l’urgenza di amare e di essere amati si deforma in malanimo. Tocca vigilare sulla caduta e darsi una mano, chiedere sostegno, offrirsi il perdono.
Sullo sfondo, nel romanzo, la costruzione di un’autostrada, come sfida di una modernità e di una conoscenza faticose verso libertà possibili.

La ianara, ogni giorno, non è morte, è solo un dolore infinito, l’incapacità di offrire a se stessa dignità di esistenza. La ianara è compagna negata da riconoscere perché segna la via, infastidisce e pretende accoglienza e protezione, è nome che arriva da lontano.

Ianua è porta che si apre, apertura che si rivela, luce che segna il passaggio fra l’interno e l’esterno. Diana e le sue sacerdotesse, le Dianarie, sono come madri: continuano la ricerca, camminano a caccia di antichi saperi e accudiscono le nature nascoste. Giano, il dio bifronte, è come padre: governa il passato e il futuro, muove i cicli naturali e consente l’inizio.

“Niente di ciò che è stato si perde. Uomini, donne, fiori, animali, piante: ogni cosa conserva la traccia della propria esistenza anche quando non esiste più. Glielo hanno insegnato sua madre e sua nonna in un tempo remoto sprofondato in un pozzo.” p.23

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