Le storie scritte dele donne

Il padre, mastro Geppetto

Mi convince Fabio Stassi perché riscrive la storia dalla parte del padre, partendo da sé, esponendosi nelle fragilità dei ricordi, perduto e mancante. Questo mastro Geppetto è un genitore che abbandona la posizione dominante e si mette in viaggio per incontrare il figlio lì dove lui è, come lui desidera e neanche riesce a chiedere. Gli tocca andare a cercarlo, come una via per ritrovare il senso della propria vita. Cerca Pinocchio che, ad un certo momento, vuole essere trovato.

È il lavoro di cura che rende padre Geppetto, un uomo a cui ”girava la testa, e sentiva nel petto un arruffo che lo scombussolava e lo lasciava combattuto”(p.14). È il lavoro di cura che rende figlio Pinocchio, un figlio che capisce cadendo per conto suo e superando l’obbligo dell’obbedienza e della sottomissione come l’unico strumento per incontrare la vita. La proposta è la riscoperta della parte maschile normativa affettiva.

Geppetto misura l’orizzonte lontano, apre gli scenari, faticando nello sguardo, ammalando il corpo. Vacilla e inciampa nel dubbio e nella paura, tace e astrae, cercando sollievo nelle visualizzazioni. L’esercizio apparentemente naturale del potere si trasforma nella pratica modesta e profonda dell’ascolto e del racconto di sè. Pinocchio può diventare umano perché Geppetto lo accoglie, nella realtà, come un burattino fallibile e come un minore, non minus, non minorato, in controdipendenza fisiologica, soffrendo senza farne un dramma di colpe e senza gridare all’obbedienza pretesa dalla lesa maestà.

Per essere preso sul serio, Geppetto/Stassi abbandona gli androcentrismi linguistici. Non leggo i termini del possesso come la notorietà, il prestigio, lo stuolo di acculturati, il compito che segue gli obiettivi, l’orgoglio e la vendetta… Geppetto sussurra parole pure sconnesse che cercano il senso nell’essere assieme, nel dono della presenza. La preghiera di Geppetto è un moto di gratitudine e di riconoscenza verso quel figlio bugiardo e scappato di casa, proprio verso Pinocchio.

Mi convince la paternità patita e sorridente di Geppetto, nella letteratura di Fabio Stassi, molto più della revisione lacaniana proposta dallo psicoanalista Recalcati che noiosamente rimanda l’immagine in vetrina di un personaggio paterno ancora forte e seduttivo, di un professore di riferimento da seguire, come nella migliore tradizione patriarcale. È estetico e puntuale il pensiero di Recalcati per dire della Legge e del padre nei saggi La notte del Getsemani e Cosa resta del padre? Il mio sguardo, tuttavia, intravede sempre una figura di uomo dotto e indottrinato, un uomo di valutazioni e di modelli che interpreta centrando tutto su di sé come misura e che spiega le cose come stanno. Per chiarire, io studio i testi di Lacan, epperò faccio volentieri a meno della postura arrogante che espone Recalcati al commercio facile, della cera sul suo volto impostato, della tentazione virile all’imposizione e alla benedizione salvifica verso il pubblico ignorante.

La domanda di Geppetto rimane fondativa di un lavoro tutto da incominciare sull’autocoscienza maschile: “Chi è che ci getta senza nessuna pietà nel pandemonio del mondo?” (p.27). E, nell’uomo, ancora mi convince riuscire a leggergli l’anima sul volto: “Non si può dire che mastro Geppetto fosse di costumi mansueti, ma di certo gli si leggeva l’anima sul volto.” (p.19)

Ho rivisto il film di Matteo Garrone del 2019 e considero la storia quasi una preparazione al libro, una modalità psicologica lenta che prepara la trasformazione del padre in persona della cura. Geppetto è presente, anche in assenza, si adatta allo scherno del mondo e rinuncia a rilanciare le risposte. In fondo, solitario, trova rifugio nella pancia della balena. Geppetto, il mastro, l’artigiano, è autentico e si fa sempre convincere da Pinocchio, mica perché è scemo, ma perché la giovinezza del figlio che continua a sbagliare e a sbattere la testa di legno a causa dell’età, deve essere credibile agli occhi dell’anziano, per se stesso, per invecchiare con ironia.

Credo alla autorità come una opportunità e non come la garanzia di un ordine. Essa si esprime come servizio all’altro, come disposizione d’animo all’incontro. Mi piace l’autorità taciturna e invisibile di Geppetto: Pinocchio stesso la riconosce e se ne serve, come un suo diritto. Sono le scelte apparentemente ingenue e disarmate degli adulti che seminano le relazioni pedagogiche. L’altro, se gli abbiamo donato la possibilità di abbandonarci, quando arriverà il tempo suo di apprendimento, ricorderà e sarà libero.

Riferimenti

Fabio Stassi, Mastro Geppetto, Sellerio, 2021

https://www.raiplay.it/video/2021/12/Pinocchio-2a9e57ec-c71a-474b-96bc-0598dee42b32.html

https://www.liziadagostino.it/autorita-della-presenza-in-relazione/

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