Io sono Kore: la giovinezza, l’innocenza, la leggerezza.
Sono la Dea del Fiore, una stagione nella natura e nella vita di ogni donna.
Io ho conosciuto l’oscurità dell’Ade, ho assaggiato i chicchi della melagrana
ritrovando così il mio nome: Persefone, la Terribile,
Silenziosa Signora del Regno dei Morti.
Solo dopo aver varcato la soglia del buio,
traversato il mondo delle ombre, posso risalire alla luce
tenendo fra le mani la sacra melagrana,
simbolo dell’eterno ritorno
Omero
Il mito racconta del rapimento di Kore ad opera di Ade, dio degli inferi che la fece sua sposa e regina del suo regno. Demetra, la madre, per nove giorni e nove notti percorre la terra intera da est a ovest, da levante a ponente, alla ricerca della sua adorata figlia e come misura di ritorsione lascia subito l’Olimpo. Paralizzata dall’angoscia, Demetra, dea delle messi e delle stagioni, rende la terra sterile e sfiorita. La madre, privata della sua bambina, è inflessibile e non ferma il disastro finché Zeus non obbliga Ade a lasciare che Persefone ritorni verso la luce. Ma la fanciulla, finalmente risalita sulla terra, non può più rimanere permanentemente avendo mangiato, durante il soggiorno negli inferi, sette chicchi di melagrana offerti da Ade. Zeus, ristabilendo un ordine giusto, decide che del ciclo dell’anno, la figlia ne trascorra un terzo nell’oscurità nebbiosa e gli altri due con sua madre.
Demetra, Kore, Persefone: oltre che nomi di donna, sono passaggi esperienziali, sono parti di sé che si svelano attraverso il lavoro di consapevolezza psicologica. Demetra, Kore, Persefone sono figure in trasformazione e non solo figure della trasformazione. Sono archetipi introiettati nella nostra psiche, parti che pensiamo imperdonabili, negate, respinte nel buio. È un cammino di conoscenza per intuire ed esperire la catabasis, la Discesa e il nostos, il Ritorno.
Il termine greco kore significa virgulto, energia e non si riferisce a un’età storica, recupera la radice della forza vitale, dell’esserci. La “ragazza indicibile” (arretos kore), “Kore è la vita in quanto non si lascia “dire”, cioè definire secondo l’età, le identità sessuali e le maschere familiari e sociali”(1). Per ogni persona, consideriamo l’età storica che coincide con il giorno del compleanno e, anche, l’età psicologica e culturale. La bambina-della-mamma si ritrova da sola a fare i conti con il ratto, lo stupro e l’inganno. Grida, prova a difendersi, capisce di essere vittima di una guerra sconosciuta e di una virilità arrogante e assassina. La giovane impara la prevenzione, l’intuito, la pre-occupazione di sé.
Vivere Demetra significa cercare e continuare a vagare consapevoli dell’angoscia di morte, significa sentire il sentimento e continuare a ragionare. Demetra si indigna, contratta, propone soluzioni, si separa e si avvicina e riconosce la distanza come cifra dell’amore.
È frustrante ed è un buon momento quando la psicologia scopre che il cambiamento non si può insegnare, non si può nominare attraverso i modelli, non si può imporre perché la forza serve a rimanere, a tacere e a capire. Rimane la relazione di accompagnamento, la figura dello psicopompo. Rimangono il viaggio e il racconto, oîmos e oimē che, nell’antica poesia epica, si assomigliano. La forza della trasformazione è dentro la regina Persefone: lei apprende gli opposti, assume il conflitto, si abbandona al buio e, di conseguenza, può tornare, può rinascere.
Per Omero, Persefone, colei che porta la luce, ha diritto a essere chiamata hagné, pura, e suggerisce la purezza come distinzione e separazione. E Roberto Calasso sottolinea come “non c’è purezza che non sia accompagnata da una scia sanguinosa” (2). A differenza del termine katharós, hagnós è uno stato che prevede un versamento di sangue; occorre essere hagnós, puro, hagné, pura per contenere l’eccedenza, per reggere la potenza della rinascita.
La bambina-della-mamma, ormai regina degli inferi, apprende a proteggersi, a governare l’attimo prima del dopo. La purezza e l’inquinamento, rimangono categorie mentali e psicologiche e non si riferiscono a condizioni reali. Nel ventre accogliamo ogni rigenerazione, di persone e di relazioni, con la pazienza nel tempo della gestazione e con la pulizia nel luogo del racconto. Se la persona chiede, il processo psicologico aiuta la trasformazione e agisce sulla contaminazione, favorendo il governo di sé e la decontaminazione dei confini dell’Io.
La divisione del mondo, dell’intero ordine cosmico è garantita dall’alternarsi della vita e della morte, delle stagioni di fioritura e dalle stagioni di riposo sotterraneo, dall’assenza e dalla presenza, dalla separazione e dall’intimità. Solo attraverso i vari passaggi, più e più volte, l’essere umano Demetra, Kore, Persefone può dirsi ed essere chiamata anche dea Libera. Chi visita le ombre, il regno dei morti, intravede i cammini di liberazione verso le libertà possibili. I cammini che prevedono il privilegio degli inferi e l’umiltà della ciclica fioritura.
Condivido un brano molto interessante da Il cacciatore celeste di Roberto Calasso:
Ma perché Zeus volle accordarsi con Ade? Core significa «pupilla» – e la pupilla è l’unico punto del corpo che ospita in sé il riflesso. Ma, dove c’è il riflesso, c’è anche uno sguardo che guarda se stesso. Non c’è vita, per gli uomini, senza quello sguardo. E al tempo stesso è quello sguardo a rivelare il predominio inscalfibile dell’assenza sulla presenza.
Il guardare è l’unico processo fisiologico scindibile senza termine: in chi guarda c’è anche colui che guarda se stesso mentre guarda. E questi può essere guardato da un ulteriore altro. Ma chi è allora il soggetto: chi guarda o colui che guarda chi guarda? Quest’ultimo si direbbe, perché ingloba chi guarda. Ma chi guarda siamo noi. Allora chi guarda lo sguardo diventa un altro rispetto a noi, che però abita in noi. Da lui noi dipendiamo. Ma con lui non possiamo confonderci, perché nel momento in cui diventiamo quell’altro, subito si forma uno sguardo che ci guarda diventare quell’altro. Il processo può ricominciare, all’infinito. Ciò che ci governa mentre guardiamo è ciò che per sempre ci sfugge. Ma è anche ciò che per sempre ci accompagna. Noi possiamo oscurarlo, ignorarlo. Ma, se l’attenzione appena si fissa, eccolo apparire di nuovo, accoglierci, come Ade colse Core. Ma dov’è quell’essere che guarda chi guarda, quando noi non lo avvertiamo, quindi per una larga parte della nostra vita? È assente o presente? E dove? È l’assenza stessa, ma -quando appare – è una presenza che rapisce ogni altra presenza. (p.407-408)
Alcuni riferimenti bibliografici
- Giorgio Agamben, Monica Ferrando, La ragazza indicibile, Mondadori Electa, 2010, p.12
- Roberto Calasso, Il cacciatore celeste, Adelphi, 2016, p.56
- Elda Fossi, Persefone, Moretti e Vitali, 2010
- Carl Gustav Jung, Psicologia della figura di “Kore”, in Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia (1942), Torino, Bollati Boringhieri, 1972 (2003), pp. 149-220 e 221-48
- Carol S. Pearson, Persefone, Astrolabio, 2017