La stupidità, le stupidità, il gioco a Stupido

Penko Gelev

                                                                                                                                                               Penko Gelev, 2012

 

 

Si vede al cielo tanta assurdità

levarsi insieme alla stupidità.

Basta.

P.Cézanne, Lettere

 A Michael,

perché ci siamo fidati.

Spero che nel suo ritiro

abbia appreso il discernimento

e la protezione di sé

 

Vivace è l’interesse e numerose sono, negli ultimi anni, le pubblicazioni intorno alla stupidità umana. Riporto i testi guida che ho considerato nei quali la stupidità assume dignità di categoria.

1.“Cos’è la stupidità? Non è la cattiveria, non è una forma, e tanto meno un atto, di cattiveria o di male… contro il male ci si può organizzare, lo si può contrastare, magari impedirlo con la forza. Mentre contro la stupidità siamo senza potere. Il male sta alla stupidità come la kierkegaardiana e heideggeriana paura stanno all’angoscia. Il male e la paura si possono puntualizzare, individuare, e quindi superare; ma la stupidità e l’angoscia dilagano indefinitivamente e senza ragione motivante per tutta l’esistenza fino al punto da coestendersi e connotarla essenzialmente…. La Dummheit non è legata alla mancanza di doti intellettuali… la stupidità non è cosa congenita, ma acquisita e, pertanto, responsabile… La sua essenza va riportata all’influsso dell’ambiente e all’esercizio della libertà… presso i solitari non è facile trovare stupidità, mentre la cosa diventa facile presso gruppi e presso comunità… La stupidità più che un problema psicologico, è un problema sociologico. Non innata né congenita, ma acquisita e responsabilmente acquisita sotto l’urto dell’ambiente… Gli effetti della stupidità non riguardano, almeno immediatamente l’intelligenza. Quello che si perde è l’intima capacità di resistere, tanto che si finisce per rinunciare, coscientemente o incoscientemente, ad un atteggiamento personale, per rifugiarsi nell’anonimato del si fa o si dice per lo più. Quando si discute con un Dumm, ci si accorge subito che non si ha a che fare con lui, ma con luoghi comuni e atteggiamenti diffusi nell’ambiente. Per questo suo cedere ad un fascino subito, il Dumm è veramente un alienato, uno che manca di consistenza personale. Se la stupidità, nella sua essenza e nei suoi effetti, è un fenomeno di abdicazione personale, risulta del tutto evidente che nei suoi riguardi non è possibile un’azione di convincimento; sarebbe come voler attaccare una veste all’attaccapanni riflesso nello specchio… Soltanto una liberazione forzata, operata da gruppi di resistenza, potrà preludere ad una ricostruzione dell’uomo, basata su una serie di valori e di convincimenti”. I.Mancini,pp.259-261

 2. È sorprendente considerare che l’àmbito in cui la stupidità trova maggiori coniugazioni è quello aziendale… Il denaro costituisce oggi un elemento talmente importante che le imprese scelgono di strutturarsi nella maniera più comprensibile, chiara, logica, così da potere monitorare ogni passaggio e ridurre i rischi di un fallimento, sia nel senso ordinario del termine, ossia il mancato raggiungimento degli obiettivi prefissi, sia in quello tecnico giuridico, che porterebbe allo scioglimento, per legge, di un’attività che abbia cagionato danno invece che frutti economici… Non vi è dubbio che la stupidità sia una componente della produttività, al punto che risulterebbe persino assurdo fondare un’azienda non stupida. Soffrirebbe di un forte freno decisionale che le deriverebbe dalla componente di dubbio propria della non stupidità e dai tempi richiesti a qualunque lavorazione complessa. Un’azienda non stupida dovrebbe riflettere, ponderare, meditare. Tutte operazioni che si rivelerebbero poco produttive. In altre parole, la stupidità non solo pare compatibile con il profitto, ma addirittura, sembra implementarlo e garantirlo.

Anche laddove si voglia fare uno sforzo della ragione per attivare l’efficacia aziendale, con sottili differenze addirittura tra efficacia ed efficienza, risulta che il profitto davvero c’è stato, ciò dipende dall’avere posto in atto scelte assolutamente estranee a ogni regola razionale e aver partecipato invece ai criteri della stupidità. Così lo stupido appare l’imprenditore più adeguato perché capace di dare dei forti impulsi al reddito. La logica del profitto funziona come fondamento per un procedere ordinario dell’azienda, per una sorta di risultato al minimo, di controllo dei rischi, ma è la stupidità a diventare il grande protagonista che permette di passare dall’ordinario all’eccezionale inducendo dei salti notevoli tanto da portare le aziende alla fortuna.

V.Andreoli, pp.117-125

 La stupidità è considerata da molti autori una componente distintiva e, a tratti, predominante dell’essere umano, così come l’intelligenza, in latino intelligěre, è definita dalla capacità di stabilire le connessioni e si manifesta attraverso la proiezione della sua ombra.  Così, nell’opposizione oscura e sotterranea, la stupidità rivendica una sua struttura, altra e autonoma, rispetto alla intimità e alla capacità di relazione. L’analisi stupidologica è la storia dell’essere umano che si distrae dalla coscienza della sua vita, nata per morire. Le componenti stupiditarie dell’esistenza umana ricordano, nel cammino che porta a divenire persona, la necessità di rimanere umili, legati all’humus, alla terra, alla realtà. La stupidità è cosa seria e preziosa, è la sostanza di cui siamo fatti perché, se riconosciuta, facilita la confutazione e l’ironia, quindi, la relazione.

“…proprio il tentativo di fuggire all’imbecillità che grava come un peccato originale sulla condizione umana è l’origine, sia pure fallibile e rischiosa, della intelligenza, della civiltà, di tutto ciò che di buono può aver fatto l’essere umano tanto nello spirito soggettivo (coscienza, autocoscienza e ragione […]) quanto nello spirito oggettivo (famiglia, società civile e stato), e persino nello spirito assoluto (arte, religione e filosofia)” (Ferraris, p.77).

…  Poi ci sono le stupidità rappresentate, a mio avviso, dall’ostinazione a costruire modelli e procedure politiche e sociali, fabbricazioni e strutture aziendali in cui pratiche ottuse e insensate diventano abitudini pedantemente consolidate di sottomissione e protocolli a cui attenersi senza dubitare e discutere.

Per esempio, ricordando l’ultima settimana lavorativa, mi capita di riflettere sul sistema del controllo e della punizione, lì dove questo sostituisce ed evita l’avvio della comprensione e dell’apprendimento. Lo stesso mira a colpire la costituzione di gruppi, per la difesa di scelte identitarie di categoria, passando la giornata (specie su facebook) a stanare il nemico, a riempirlo di insulti e ad espellerlo, a generare gli haters.

Si aggiunge l’iperofferta di fake news e di comunicazioni da discount sui social media verso e attraverso le masse, al posto dello studio e del pensiero condiviso fra persone.

Senza dimenticare il prodotto di un certo modo di intendere il marketing che si impone come fine e non come strumento, in cui il messaggio da trasferire, cioè il processo di ideazione, è minima cosa rispetto, appunto, ai like che produce.

Ricordo, a chi legge, l’effetto Dunning-Kruger, considerata una distorsione cognitiva a causa della quale una persona incompetente, lo è a tal punto da non accorgersi di esserlo e da progredire, ignara, nella pretesa di riconoscimenti.

Le stupidità sono le forme di gerarchia, instrumenti regni, che mortificano e non riconoscono agli esseri umani le libertà disordinate e scomode di pensiero e di azione, producendo unicamente reazione e agitazione. Vi sono situazioni in cui riconosco un padrone e mi preoccupo dell’incapacità e dell’impossibilità di scegliere dei sudditi, mi preoccupo della paralizzante violenza morale che ne deriva. Le stupidità sono sempre coniugazioni dell’onnipotenza o dell’impotenza, figlie dell’illimitato e del confine coatto.

“È il fare che risolve il dubbio, non il meditare. Ancora una volta, la storia è un fare, non è mai un pensare… la stupidità è una fede, perché è ignara del dubbio. Un pragmatismo radicale. La stupidità organizza le guerre, accumula patrimoni… procede con il dominio del potere e quindi con l’ingiustizia… Non è possibile che i non stupidi si affermino e prendano il potere, perché il potere in sé è stupido, impone anche al non stupido di <stupidizzarsi>” (Andreoli, pp.116-117)

In Analisi Transazionale mi è molto caro il capitolo dei giochi, rappresentando, insieme, una prospettiva, un metodo e uno strumento nella pratica di Gestione delle Risorse Umane. La consulenza aziendale riconosce il suo campo di azione proprio nell’analisi, diagnosi e cura dei giochi psicologici nelle interazioni aziendali.

I giochi psicologici sono una modalità negativa, inconsapevole e ripetitiva, di strutturare il tempo, evitando la relazione sana e, per questo, conflittuale e sostituendola, appunto, con l’intrattenimento in interazioni verbali e gestuali che svalutano se stessi, l’altro, la situazione. Dal gioco psicologico tutti gli attori escono perdenti e infelici, anche chi vince, chi ha dimostrato da che parte stanno il torto e la ragione, anche chi, applicando tecniche da imbonitore, pensa di aver effettuato una vendita vincente.

La comprensione del gioco a Stupido prevede sempre un cammino autobiografico.

In italiano utilizzo il genere grammaticale maschile perché ritengo che il gioco psicologico a Stupido sia sempre il rituale di funzione patriarcale che ricatta, anche nel caso in cui l’interazione di gioco riguardi una donna. Nel gioco psicologico a Stupido, la tesi, cioè la mitica credenza sottostante, perpetua la certezza che finché sono stupido… nessuno si aspetterà di più, oppure, non dovrò risponderne, non potrò assumermi, in quanto stupido, alcuna responsabilità.

Il gioco aziendale può essere inconsapevolmente utilizzato da un/una responsabile sotto l’ordine <Spicciati> che pensa di evitare rallentamenti e discussioni giudicate inutili. Le persone vengono tenute a bada, talvolta, anche, fagocitate dagli organizzatori di feste e team building che relegano tutti in una zona primordiale, istintiva di interazioni. Il/la dipendente che pensa può diventare un antagonista e, di conseguenza, fare richieste eccessive che, talvolta, non sono solo monetizzabili.

Essere chiamato e riconosciuto stupido conferma l’ingiunzione <Non Pensare> e prevede una Vittima che innesca il gioco e un Persecutore che si fa agganciare e ci casca, confermando la tesi. E un modo indiretto per soddisfare un bisogno. Il giocatore a Stupido può riconoscere il bisogno di essere se stesso, umano con la capacità di pensare e di esprimere il proprio pensiero il quale potrà essere modificato.

Il giocatore non ha capito o sentito o saputo, non è stato invitato, non ha ricordato, ha sottovalutato, ha dimenticato luogo o tempi, insomma ha sbagliato: e, così, nell’atto di fallire esprime tutta la sua incertezza di onnipotente. Certo, perché, questa persona non mette in conto di poter dimenticare, di poter non capire e non essere sempre gradita a tutti, non accetta la possibilità di un limite. L’attesa magica del giocatore è dover risultare, agli occhi del mondo, sempre bello, telegenico, preparato, giusto, intelligente, forte, figo, in una parola!

In certe occasioni, se non accettiamo di sentirci sbagliati, inadeguati, appunto, se non accettiamo la parte un po’ cretina di noi, allora, siamo candidati a diventare giocatori incalliti a Stupido. La stupidità appartiene all’essere umano fragile che trova il senso della sua esistenza nel riconoscersi in relazione. Può accadere a tutti di sbagliare battuta, vestito, appuntamento, strada, senza doverne approfittare, per dimostrare, ancora una volta, a noi stessi in primis, che siamo mancanti e, di conseguenza, condannabili e che, infine, nel ruolo di Vittima siamo nell’unico posto possibile a noi concesso dall’inizio dei tempi. Una catena malefica di convinzioni, ricerca di fatti e dimostrazioni.

Non credo, come afferma il filosofo Ferraris, nella utilità di distinguere l’imbecillità di élite dall’imbecillità di massa. Ogni essere, in quanto umano, a causa della sua umanità, è predisposto al gioco a Stupido nei momenti di impasse, in cui si sente incapace, manchevole, stanco, in qualche modo. Ogni giocatore esprime percentuali diverse e, dunque, gravità diversa nel gioco. Negli ultimi anni, in alcune aziende da me seguite, riscontro il terzo grado di gravità fra gli interpreti del gioco a Stupido, quelli che per uscire di scena sono costretti a finire all’ospedale, al tribunale se non al cimitero.

Per ogni persona la domanda iniziale rimane: “In quali circostanze mi rendo disponibile a iniziare o a farmi agganciare nel gioco a Stupido?”

Non si tratta di stare sempre tesi e in guardia, ma di fare attenzione agli agguati, assumendo la responsabilità della proprio umana fallibilità.

Gli interventi immediati prevedono di non ridere delle stupidaggini e di cambiare argomento. Fare la scelta di non stare al gioco, spingersi a spostare il focus dalla svalutazione dell’altro e di sé, recuperando i dati di realtà. La formazione prevede, oltre l’intervento immediato

  • di ignorare il gioco, anche la possibilità
  • di spiegarlo,
  • di offrire un’alternativa e/o
  • di giocarlo nel caso in cui il/la consulente ritenga non adeguato lo smascheramento del giocatore in pubblico nell’immediato.

Penso che l’opposto del gioco a Stupido sia l’educazione alla libertà e la cura della con-sapevolezza, di un sapere condiviso, fluendo coralmente verso una meditatio mortis.

Insomma, l’opposto è la possibilità di mantenere la scelta della stupidità, nelle sue varianti, per riconoscerla, evidenziarla e anche poterne fare a meno, ridendoci su, assieme, liberati e liberi.

Riferimenti bibliografici

  • Eric Berne, A che gioco giochiamo, Bompiani, 1987
  • Sara Filanti e Silvia Attanasio Romanini, a cura di, Il modello dell’Analisi Transazionale, Franco Angeli, 2016
  • Fernando Mantovani, Stupidi si nasce o si diventa?, Ed.ETS, 2015
  • Italo Mancini, Bonhoeffer, Morcelliana, 1995
  • Vittorino Andreoli, Le nostre paure, Rizzoli, 2010
  • Robert Musil, Discorso sulla stupidità, Diogene Ed., 2015
  • Maurizio Ferraris, L’imbecillità è una cosa seria, il Mulino, 2016

 

 

Editing: Enza Chirico

 

 

 

 

 

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