Non è necessario che tu esca di casa.
Rimani al tuo tavolo e ascolta.
Non ascoltare neppure, aspetta soltanto.
Non aspettare neppure,
resta in perfetto silenzio e solitudine.
Il mondo ti si offrirà per essere smascherato,
non ne può fare a meno, …
Franz Kafka, Diari
Sulla scrivania di Kafka pare figurasse la scritta warten, aspetta.
E così mi propongo di aspettare riflettendo, ogni volta che sono invitata a presentare i percorsi formativi o ad affrontare un argomento di psicologia. Scelgo io stessa di organizzare i momenti di incontro per informare un pubblico intorno ai miei studi e alle attività nell’area delle Risorse Umane. Seguendo i personali ordini materni, si mangia a casa: non si organizzano apericene, happy hours, outdoors, laccato street food et consimilia. Sono lontana dalle interazioni fagocitanti e ancor più da uno storytelling che semplifica e non accelera, ma rende inerte e banale il dire. Il mezzo utilizzato, nella maggior parte dei casi, diviene impedimento alla relazione pedagogica, alla relazione di éros. Non mi occupo di creare racconti e storie, applicando all’impresa i principi della narrazione. Semmai, il format narrativo è per me lo strumento – mai il fine – utilizzato nella formazione per riconoscere, analizzare, modificare copioni e minicopioni.
Nelle relazioni, propongo la dialettica: la tesi, l’antitesi, la sintesi. Il partire da sé e il pensare assieme, la concentrazione e il silenzio, lo scambio dinamico dei pensieri. Apprendere la dialettica, l’arte di argomentare, favorisce il conflitto che giustappone, componendoli, punti di vista legittimi, opposti e contradditori. Considero l’imperativo di conquistare, sedurre il pubblico come parte della strumentistica disordinata del patriarca. Propongo, quindi, la cura della parola, prima che la scelta della musica e dell’immagine (il profetico bagno delle immagini di Marshall McLuhan), al fine di non sostituire la vita con la rappresentazione di essa.
La persuasione, come funzione pragmatica della comunicazione, non punta a convincere l’altro e ad ottenerne fiducia e approvazione, ma diviene cammino di scoperta e di allargamento delle mappe mentali e ideali di ogni interlocutore. Infine, è la realtà che opera la persuasione, indicando per ogni persona le diverse prospettive in ogni qualsivoglia situazione. Correndo il rischio di essere out, non posso rimanere ostaggio di spettacoli impastati senza criterio, di gate keeper scatenati, di trend setter, di influencer del pensiero che comandano i salotti up to date, dispensatori di carezze plastificate, del tipo adoro!, carinissimo!, assolutamente!. Un eterno birignao. La posa, la provocazione, la frivolezza, la paccottiglia offerta in combriccole e allegre brigate hanno conferito a opportunisti e mascalzoni audaci lo statuto di formatori. Insomma, un Hellzapoppin’.
Penso che l’incontro formativo light, “così come il cinema light e l’arte light, dà allo spettatore la confortevole impressione di essere colto, rivoluzionario, moderno, e di essere all’avanguardia, con uno sforzo intellettuale minimo. In questo modo, la cultura che si propone come avanzata e di rottura, in verità diffonde il conformismo attraverso le sue manifestazioni peggiori: il compiacimento e l’autosoddisfazione.” (Vargas Llosa,p.26)
Anche quando concepisco l’incontro informativo di due ore, so che esso è già l’inizio di un lavoro capillare e artigianale, di apprendimento e di messa in forma. La presentazione di percorsi di educazione alla persona non può pagare il dazio ad una diminutio rivestita da strategia di marketing. È indispensabile scegliere chiare modalità di interazione fin dall’inizio perché il viaggio dipende anche dai primi dieci minuti in cui ci si incammina. Ma davvero essere così furiosamente e soavemente esperti dell’intrattenimento avvicina i clienti? La proposta formativa che viene presentata ha l’obbligo di essere accattivante? Sono contraria all’indottrinamento che produce adattamenti. Certo, io scelgo una formazione fondativa, nel senso che costituisce la relazione come fondamento e mette in forma le modalità trasparenti e consapevoli, in ogni contesto, anche leggero. Talvolta, dico: “giocando, giocando, con lievità, ma non è a giocare!”. È una questione di cultura, non di conoscenza intorno alle tecniche di comunicazione e di persuasione. Infatti, “…la conoscenza ha a che vedere con l’evoluzione della tecnica e della scienza, e la cultura è qualcosa che precede la conoscenza, una propensione dello spirito, una sensibilità e un’attenzione alla forma che dà senso e guida le conoscenze.” (Vargas Llosa, p.8)
Già in passato mi interrogavo sui malefici delle tecniche di attrazione seduttiva nella professione
http://www.ndcomunitadiricerca.it/le-esercitazioni-in-aula/
http://www.ndcomunitadiricerca.it/teoria-e-tecniche-di-comunicazione-nella-formazione/
E mi chiedo se posso costringere qualcuno ad essere libero, forzarlo a pensare con la propria testa e mi interrogavo se chi si occupa di formazione abbia anche questo compito. Oggi la gravità dei giochi psicologici – interazioni di potere – di chiunque e in ogni situazione, richiede il richiamo all’analisi, richiede l’utilizzo di una psicologia sociale del profondo, l’indagine seria oltre la superficie, perché divengano note le ragioni di alcuni linguaggi e comportamenti, prima di proporne i cambiamenti. Non posso costringere alcuno alla relazione, però, sempre, propongo relazioni fuori da triangolazioni velenose. L’educare a sé e all’alterità cura i disturbi relazionali, legati alla messinscena, alla diluizione del discorso, alla falsificazione degli scopi, al nascondimento del desiderio, allo spostamento delle ragioni fondamentali dell’incontro.
In questo periodo storico vale tutto, perché non conta più accompagnare la natura di ciascuno, affinarne le competenze, specializzarsi, far bene quel che si fa. Nella società del consumo di massa e mediatica, spesso gli individui sono considerati “cretini sociologici” (E.Morin). La scuola di educazione Alla persona si propone di promuovere, nell’utilizzo della strutturazione del tempo, luoghi e momenti dedicati alle attività di apprendimento, all’intimità e alla noità e non distoglie l’attenzione dal fine ultimo neanche durante i rituali e i passatempi. La scuola di educazione Alla persona non riconosce come indispensabili le categorie della simpatia, della telegenicità, della seduzione e, men che mai, l’entusiasmo generico verso gli hobby e le novità. La formazione accoglie gli appassionati della viandanza, né turisti, né cercatori d’oro. Il viaggio dell’educarsi come persona produce coscienza e sapienza, intensifica l’importanza dell’esperienza esistenziale attraverso la fatica e il patimento.
Il turista parte per loisir, per moda, opportunità, per caso ed è veloce, curioso, fotografa, ingoia immagini, coglie occasioni e paesaggi, cerca distrazioni. Il cercatore è incentrato sulla percezione di sé, ha in mente la possibilità di arricchirsi, di fare business. Il viandante, invece, avverte fortemente il richiamo del cammino, si avvia e si avvia ancora, non può farne a meno, riconosce l’elezione e la dannazione, sopporta tutto per passione della ricerca, della scoperta di una personale Via dei Canti, come Bruce Chatwin. Ancora una volta la relazione e la responsabilità sono strettamente legate al cammino di consapevolezza: ogni persona decide il suo cinquanta per cento di responsabilità. Quando manca, sicuramente, interagiamo in un gioco psicologico fra persecutori, vittime e salvatori, attori in uno schermo triangolare. La realtà della relazione di me, in quanto donna, psicologa, relatrice/docente, sostituisce il potere che sceglie la menzogna dello svago per intrufolarsi, convinto di vincere perché le persone non pensano e non si scambiano idee, sono decontratte. Il potere che è sempre singolare, maschile, giocosamente vigliacco.
“Ci può essere relazione anche se l’essere umano a cui dico tu non lo percepisce nella sua esperienza. Perché il tu è più di quanto l’esso sappia. Il tu fa di più, e gli succede di più di quanto l’esso sappia. Qui non sopravviene alcun inganno: qui è la culla della vita reale.” Martin Buber
Riferimenti bibliografici
- Martin Buber, Le parole di un incontro, Città Nuova, 2000
- Emmanuel Levinas, Violenza del volto, Morcelliana, 2010
- Edgar Morin, Dialogo, Libri Scheiwiller, 2003
- Giuseppe Prezzolini, L’arte di persuadere, Introduzione di Alberto Asor Rosa, LiguoriEd.,1991
- Mario Vargas Llosa, La civiltà dello spettacolo, Einaudi, 2013
Ringrazio Enza Chirico per l’opera di editing
Per amore di chiarezza, editare un testo (altro da correggere le bozze o da prestare servizio di ghostwriter) consiste in alcune competenze precise:
- sistemare parti di testo con errori di coerenza e affinarne il livello di comprensibilità;
- controllare e rivedere il senso della narrazione (quanto più un testo presenterà periodi funzionali al suo interno – con funzionali intendo che ogni frase ha una ragione di causa o effetto o di relazione stretta – tanto più chi legge ne sarà coinvolto intuendo il senso della presenza di esempi, descrizioni, dialoghi, ecc…);
- migliorare le scelte stilistiche e strutturare al meglio la sintassi, conservando intatti i contenuti di chi scrive;
- individuare il climax per rendere le cose scritte vicine all’apogeo del significato.
Solo Enza, così !
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