Manganelli

Spostamenti e divagazioni in psicologia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ph.Fonte Silvia Meo

 

La riflessione è stata pubblicata sul numero 23 della rivista online La Stanza di Virginia:

La salute mentale in mano ai robot? – La Stanza di Virginia

                                                   

                                                    Il tema che sembra avere per te meno importanza

è quello che spiega tutto o, perlomeno,

quello a cui dovresti dare attenzione.

È una questione di spostamento di ottica.

Bernhard ti spostava la visuale e quindi

ti cambiava la tua autobiografia.

(Manganelli, p.28)

Ogni libro e ogni articolo mi raggiungono, come un dono, nel momento adeguato, ad allargare la riflessione sul senso della psicologia e sulle prospettive diverse di lettura nel lavoro di consulenza. Le situazioni sgradevoli offrono l’opportunità di un ripensamento anche paradossale, apparentemente inconcludente che, però, sposta su territori diversi le visioni e le metodologie accademiche e categoriche.

Ciò che comunemente molte persone chiamano stress è il termometro di un malessere più radicato e profondo, aggravato, in molti casi, dal malgoverno dell’ignoranza e del denaro. Decidiamo di lavorare sui due aspetti: l’umano privato e il pubblico istituzionale, perché non possiamo deresponsabilizzare le istituzioni, addossando alla singola persona il carico di una vita che vogliamo riconoscere come riuscita e vincente.

Ci impegniamo a valutare l’interconnessione e l’interdipendenza fra tutte le problematiche psicologiche, fisiche, economiche, ambientali; a riconoscere in che modo l’intervento psicologico formativo offra uno sguardo ampio rispetto al contesto. Accogliamo la comprensione sistemica della vita, suggerita da Frjtiof Capra, e la accomuniamo alla visione intersezionale nella storia femminista di bell hooks, Angela Davis, Audre Lorde. Le autrici indicano le intersezioni fra genere, razza e classe come la causa delle molteplici forme di discriminazione e di infelicità, a partire dalla relazione con sé stessi.

In questa consonanza tra microcosmo e macrocosmo, fra sociale e personale, sta la forza del lavoro psicologico e la sua necessità. La formazione psicologica è intrinsecamente generativa: affrontare una situazione significa metterla in relazione con molteplici problematiche.

Avvertiamo la violenza che subiamo e le discriminazioni che fronteggiamo, riducendo tutto a un fatto privato, emendabile con qualche piccola riforma e con un po’ di vecchia educazione, senza bisogno di scalfire la struttura sociale. Ci tocca, soprattutto, dover rafforzare l’idea di una nazione bianca, omogenea, formata da famiglie eterosessuali in cui l’idea di complementarietà nasconde le gerarchie che permangono e in cui l’unica libertà possibile è quella di conformarci al modello già esistente. E anche per questo abbiamo ancora più bisogno di continuare gli studi e le attività che mirino a sovvertire il contratto sociale, i confini delle frontiere e i confini tra pubblico e privato.

Per la comunità vivente non serve moltiplicare le carceri, riaprire i manicomi, inaugurare le nuove prassi segregative dell’educazione. Altrimenti, ogni attività psy diviene un esercizio di dominio. La psicologia applicata è politica e non prevede risposte già pronte come quelle somministrate dai chatbot di IA. Le interazioni attraverso un software che simula le conversazioni umane, sono un bluff e non offrono alcun vantaggio competitivo nella pratica psicologica. Trasformano le crisi naturalmente umane in urgenze da affrontare in modo ossessivo. Rimangono attrezzi del padrone con cui non possiamo smantellare la casa del padrone, seguendo l’indicazione di Audre Lorde.

I chatbot di IA, americani o cinesi, costruiti per il sostegno psicologico, sono sempre più diffusi da un sistema sanitario scellerato che pretende di evitare le spese per la salute. Con l’addestramento al benessere, attraverso l’utilizzo di schedature, come per un elettrodomestico, le app di IA rischiano di evitare i difetti umani, eliminando gli esseri umani, seguendo l’illusione di un cambio, come per un elettrodomestico mal funzionante; oppure, inseguendo la perversa credenza magica della risoluzione. L’industria del benessere propone di perseguire la salute perfetta, a servizio di una produttività sempre maggiore, e questo è più pericoloso e triste dello stesso disturbo psichico.

La psicologia formativa non assume l’obiettivo dell’efficienza quantificabile; essa favorisce, invece, il governo di sé, l’equilibrio possibile, in ogni fase della vita, con gli ostacoli e le complicazioni. Non si dismette un sistema se lo si imita, se lo si alleva adoperando i suoi inganni e pensando di farlo a fin di bene o per un fine nobile, per esempio, per salvare (?) ogni persona, provando a integrarla nel dominio di gesti e di pensieri: così, è la psicologia a impazzire. Il disturbo psichico fa parte dell’esperienza umana, come ci ricorda Franco Basaglia, se no, più che malati, diventiamo esclusi sociali. La malattia appartiene alla vita, la costituisce e la mette in forma.

Il modello repressivo dominante accomuna i matti, i migranti, i carcerati, i poveri, i precari, la gente che infastidisce perché esiste. E anche l’uguaglianza è un tranello a favore dell’assimilazione all’unico modello possibile dei sudditi. La psicologia formativa partecipa, nella pratica quotidiana, a mettere in discussione le categorie politiche, sociali, ideologiche, linguistiche. In caso contrario, è solo uno strumento per accrescere le gerarchie di potere, i privilegi e le ingiustizie.

Ritrovo la ricerca psicologica al di fuori del pacchetto di certezze e non ritengo che sia un virus da debellare. Prima ancora che la sicurezza della guarigione, perseguiamo l’emancipazione da una mentalità copionale fissa, desideriamo produrre un senso, una solidarietà, una socialità, resistendo alla disciplina istituzionale, al disturbo del sistema che riduce la persona al suo stato. Il lavoro psicologico di formazione non è un destino perché siamo tutti matti o perché potremmo diventarlo. Esso si propone, invece, come una pratica politica, una possibilità e un esercizio trasformativo per recuperare la forza interiore e recuperare, in comunione e in autonomia, i cammini di libertà.

Non c’è la salute mentale in assoluto, come un modello prestabilito da imitare per essere graditi e tollerati, ma possiamo avviare un’attività sistematica di consapevolezza, custodendo, per ogni persona, il proprio nucleo esistenziale, rimanendo ciò che siamo e diventiamo, in un contesto collettivo che si adatta e nel quale ci adattiamo. Il concetto di benessere mentale è valutato sempre rispetto a una persona reale, in una società reale. La retorica dei disturbi mentali accettabili o resi tali, è legata al prurito di dominio di alcuni esseri umani su altri.

Forse, è il narratore e critico Giorgio Manganelli a segnare una via: negli anni ’60, seguendo l’indicazione di Cristina Campo, frequenta lo psicoanalista junghiano Ernst Bernhard, un ebreo berlinese che a Roma, in via Gregoriana, riceve i suoi pazienti. Manganelli, invitato nel 1973 ad un convegno su Jung nella cultura europea, pronuncia la sua apologia delle ombre e dello scarto.

Ogni persona, seguendo lo junghiano Bernhard, ha la malattia che le spetta, e non la malattia che non le spetta. Valutiamo la malattia come uno strumento di comprensione, come un cammino di apprendimento, rispetto al copione personale e sociale. Il pericolo non è essere malati, ma avere un disturbo incongruo, non pertinente. Uno stato di salute prevede, per ciascun essere umano, una malattia pertinente, giusta, in armonia con il nucleo esistenziale. È sulla via dell’errore paradossale, sul crinale della caduta rovinosa che riusciamo a trovare il passaggio verso la malattia pertinente: questo è il ben essere! La possibilità della trasformazione copionale è una questione di accettazione e di spostamento di prospettive.

Criticando la psicologia del profondo, Bernhard ne segna, con onestà, lo spazio psichico che apre il ragionamento, ponendo i problemi, modificando le domande, fino a portare la convivenza mentale in luoghi imprevedibili e imprevisti… un luogo impreciso, ambiguo, in cui la stoltezza si mescola alla straordinaria intelligenza e alla visione, alla capacità di essere molto più intelligenti di se stessi e di essere, o di possedere, un se stesso molto più stupido di noi…; a raccontarci in una lingua complicata, irritante, infantile e polisemica allo stesso tempo.

Come afferma Manganelli della letteratura, vogliamo dire della psicologia: la psicologia trattata come centrale diventa molesta, perché tutto ciò che è centrale è intollerabile. La psicologia è centrale solo quando si capisce che è periferica. La psicologia equa, solidale e democratica ha come unico strumento la relazione stessa e non propone alcun indottrinamento, semmai è un instradamento, come l’itinerario predisposto per il passaggio dei treni sui binari di una stazione.

Gli studiosi letterati, quelli che non compaiono nei programmi ufficiali, rimangono i cattivi maestri da seguire: Oliver Sacks, Erich Neumann, James Hillman e altri, ci guidano a benedire il copione, per modificarlo, ci invitano ad accogliere e ad entrare in sintonia con i sintomi, a non opporre resistenza, a girarci intorno, per rispettare il ciclo di ogni rinascita.

Il sintomo nevrotico ha ragione; la malattia non vuole essere guarita ma decifrata; e appunto il nonsense di una coazione, di un errore, di una disperazione, di una morte possono custodire la scheggia bilingue che introduce ad una ulteriore intelligenza dei segni; dunque il «guaritore» è dalla parte dell’ombra, l’alleato operoso della malattia; la sofferenza può essere nevrosi e iniziazione ma forse tra i due termini la continuità è assoluta.

(Manganelli, p.41)

 Riferimenti bibliografici

  • Giorgio Manganelli, Il vescovo e il ciarlatano, Sellerio ed., 2024
  • Jess McAllen, Psicoterapia artificiale, Internazionale, N.1599, febbraio 2025

 

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